Non è il chi, ma il perché.

La vera domanda non è tanto “CHI”. Su quello la giustizia ha dato i suoi verdetti definitivi sia su esecutori materiali (su questi, recentemente, anche alcuni verdetti non ancora definitivi) che sui depistatori.

I primi appartenenti alla galassia del terrorismo neo-fascista, i secondi alti dirigenti dei servizi segreti militati affiliati alla loggia massonica P2.

Ma la vera questione – che distingue sul piano storico la strage di Bologna dalle altre della nostra storia – è che non abbiamo la più pallida idea del PERCHÉ di quella bomba.

Lo stesso connubio tra mandanti e esecutori (settori dell’apparato istituzionale e manovalanza mafiosa o neo-fascista) è stato all’opera numerose altre volte, da piazza Fontana in poi.

Ma in quei casi, sul piano ahimè solo rigorosamente storico, il perché è sufficientemente chiaro: si è trattato con molta probabilità di una strategia per spaventare l’opinione pubblica e spingerla ad accettare o un cambio radicale della forma di governo (come si verifico’ in Grecia) o una stabilizzazione centrista del quadro politico, al fine di allontanare dall’area di governo il partito comunista, che in quegli anni era il nemico della Guerra Fredda e che stava accrescendo sia consenso che ambizioni di governo.

Ucciso Aldo Moro – probabilmente nell’ambito della stessa strategia – il pericolo dei comunisti al governo non c’era più.

Il segretario del PCI Berlinguer – che essendo scampato per pura fortuna ad uno strano attentato qualche anno prima a Sofia aveva capito benissimo, dopo la morte di Moro, che cosa stava in realtà succedendo – nel 1980 aveva abbandonato ogni ipotesi di vicinanza o ingresso nel governo, rifugiandosi nella “diversità comunista”.

E anche a livello internazionale la Guerra Fredda si stava spegnendo: da lì a pochissimi anni alla guida dell’Unione Sovietica sarebbe arrivato un giovane e sconosciuto riformista di nome Gorbaciov, e da lì alla caduta del Muro sarebbe stata questione di poco.

E allora che “bisogno” c’era di far saltare in aria una stazione una mattina di inizio agosto, uccidendo 85 innocenti e ferendone altre 200?

E’ questa la vera domanda. Alla quale non abbiamo una riposta. E probabilmente non la avremo mai.

Così come per quell’altra strage di soli 36 giorni prima.

Anche quella aveva a che fare con Bologna: da lì infatti partì, il 27 giugno, un Dc9 dell’Itavia che poco meno di un’ora dopo precipitò vicino all’isola di Ustica, nel mezzo del Tirreno.

E anche in quel caso non abbiamo la più pallida idea del perché.

Quando i perché rimangono così tanto oscuri (su Bologna e Ustica, onestamente, potrebbero riguardare QUALSIASI cosa), vuol dire che riguardano qualcosa di davvero indicibile e orrendo. Ma anche se non fosse così, con ogni probabilità non lo sapremo mai ugualmente: semplicemente perché questo paese non solo non è pronto ad accettare la verità sulla propria storia, ma non è pronto neanche a separare la storia dall’attualità politica. Se emergesse qualche frammento di verità su cosa è davvero successo in Italia dal 1969 al 1992, probabilmente verrebbe usato nella contesa politica allo stesso modo di come in queste ore viene usato l’incontro di boxe femminile alle Olimpiadi.

Nel frattempo, per la 44esima volta, un commosso pensiero a quelle 85 vittime senza verità.

Per chi crede, forse in paradiso c’è una sezione speciale per i morti senza verità. Tanti di loro sono italiani, vittime collaterali di una guerra a bassa intensità combattuta sul nostro suolo dal 1969 al 1992, ma di cui questo paese non vuole sapere nulla.

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