Del resto i populisti/sovranisti solo a questo possono servire. Ad aiutarci, con le loro scemenze, a focalizzarci sulle cose serie.
Stamattina Salvini ha detto che per finanziare il rafforzamento della nostra sanità preferisce non usare la nuova speciale linea di credito del Mes (Pandemic Crisis Support) perché quel prestito deve essere restituito.
Preferisce invece chiedere quei fondi in prestito ai risparmiatori italiani, vendendo loro Btp decennali.
Visto che Salvini non può preferire i Btp perché costano meno (costano alle finanze pubbliche, invero, 12 volte e mezzo di più del Mes), ne deriva logicamente – come del resto da lui candidamente ammesso – che il motivo per cui preferisce i Btp è che contempla esplicitamente o implicitamente l’idea di non dover restituire ai risparmiatori italiani i soldi che prestano allo stato comprando i Btp.
Chissà, probabilmente l’ex-comunista padano pensa che i cittadini italiani che investono i loro risparmi in titoli di stato possano essere patriotticamente più malleabili della Ue nel caso lo stato dicesse loro “guarda scusa, è un momento di difficoltà, non riesco a restituirti il prestito che mi hai fatto, abbi pazienza. Cosa? Erano fondi per far studiare i tuoi figli? Eh vabbè, pazienza, troppo studio inquina l’animo… male che vada faranno i sottosegretari o i ministri. Cosa? Era il tuo fondo pensione? E vabbè dai, pensa all’invasione degli immigrati”.
Ma quando dice che “i risparmi degli italiani ci sono”, Salvini dice una cosa giusta. Del resto anche un orologio rotto segna due volte al giorno l’ora esatta. Con lui la frequenza è senza dubbio molto ma molto inferiore, ma tant’è.
Secondo gli ultimi dati disponibili, gli italiani detengono in depositi bancari circa 1500 miliardi di euro, un valore parecchio superiore a quello degli altri risparmiatori europei. La remunerazione di questo risparmio e’, come noto, zero. Il che significa che in termini reali – anche in tempi di inflazione bassissima come questi – quel risparmio nel tempo perde valore.
Allo stesso tempo – saltando dal lato dell’offerta di risparmio a quello della domanda – le imprese italiane sono tra le più dipendenti al mondo dalle banche. Circa il 90% del credito passa esclusivamente dal canale bancario (negli USA è circa il 20%). Vale a dire, è poco sviluppato il mercato dei capitali, cioè quel luogo in cui offerta (i risparmiatori) e domanda (le imprese) di risparmio si incontrano liberamente, senza l’intermediazione del canale bancario: obbligazioni, azioni, fondi comuni, prodotti finanziari vari, ma anche private equity e crowdfunding. E così, le imprese che hanno bisogno di fondi per finanziare la propria gestione ordinaria o – meglio – i nuovi investimenti, hanno praticamente solo l’opzione di recarsi in banca (che, tra l’altro, fa raccolta proprio grazie ai depositi dei risparmiatori).
Ma perché un mercato dei capitali poco sviluppato è un problema?
Lo è per l’offerta, perché i risparmiatori hanno poca possibilità di scelta su dove impiegare il loro risparmio. Ecco perché, soprattutto se avversi al rischio, preferiscono tenere i soldi su un conto corrente, accettando persino di far perdere valore reale ai propri soldi.
Lo è per la domanda, perché essendo le imprese molto dipendenti dalle banche, appena c’è un problema di tipo finanziario negli istituti di credito, lo shock si trasmette immediatamente all’economia reale tramite gli effetti sull’impresa.
Come può la politica economica intervenire per migliorare la situazione?
Non certo come vuole Salvini, cioè pretendendo che il risparmio parcheggiato dagli italiani sui conti correnti vada obbligatoriamente in acquisti di titoli di Stato (magari con la minaccia implicita – come abbiamo visto – di potersi pure permettere di non restituirli).
Questa è una scelta statalista (“solo lo Stato ha bisogno di fondi, perché li sa usare meglio di tutti”), lesiva della libertà individuale (“ti dico io dove investire il tuo risparmio”) e estremamente inefficiente dal punto di vista economico (perché ostacola l’afflusso delle risorse la’ dove è più efficiente che vadano).La strada liberale – quella di mercato – è invece un’altra.
E – come tutte le volte in cui un mercato deve essere costruito e/o manutenuto – implica un ruolo decisivo del potere pubblico. Tre spunti, solo accennati:
1) occorre agire affinché la Borsa sia nelle condizioni di crescere, di interagire e fondersi con mercati più ampi, e che abbia piattaforme specifiche per accogliere le quotazioni anche di piccole e medie imprese. Tutto il contrario, insomma, di chi si occupa di Borsa solo per chiedere – guarda un po’ – che sia pubblica e rigorosamente nazionale.
2) occorre favorire la creazione di strumenti finanziari in grado di far incontrare più efficacemente domanda e offerta del mercato dei capitali. Un esempio sono i Piani Individuali di Risparmio, creati dal governo Renzi, che dopo lo stop impresso dal governo Lega-M5S nel 2018 hanno poi trovato un nuovo impulso, grazie soprattutto all’azione di Italia Viva.
3) occorre sviluppare con maggiore forza tutti quegli strumenti (mini-bond, bond di distretto, disciplina speciale per la quotazione in Borsa di PMI, ecc) che già esistono nel nostro ordinamento ma che necessitano di un nuovo e forte impulso. Che deve riguardare anche venture capital, private equity e crowdfunding.
Al di là della scemenza di Salvini, il fatto che l’Italia sia l’unico paese con un tal ammontare di risparmio privato parcheggiato sui conti correnti è un fatto che deve far riflettere. Certo, è la conseguenza di una diffusa sfiducia nel futuro, su cui la classe politica tutta dovrebbe interrogarsi.
La via statalista (convogliamo quel risparmio verso il debito pubblico) è sbagliata, per i motivi detti sopra.
Anche stavolta, la soluzione è costruire, sviluppare e manutenere il mercato.