In questo articolo rispondiamo a due semplici domande.
- Che succederà al nostro debito pubblico se, alla fine dell’emergenza Covid, sarà fallita la sfida di usare le risorse del Next Generation EU per aumentare in maniera permanente il tasso di crescita della nostra economia?
- Quali sono le possibili conseguenze“della seconda ondata” sull’andamento del nostro debito pubblico nel breve periodo?
La prima domanda: che succede se, semplicemente, torniamo a crescere come abbiamo fatto finora.
In questo primo scenario, ipotizziamo che fino al 2023 tutto vada esattamente come previsto dal governo negli ultimi documenti di finanza pubblica. Ma diamo un’occhiata più approfondita a che cosa succede dal 2024 in poi.
Il governo prevede[1] per allora di aver impiegato circa il 70% delle risorse del Next Generation EU (144,9 miliardi di euro). Nella Nota di Aggiornamento al DEF 2020[2] l’esecutivo ipotizza due scenari: uno “ottimistico” (in cui le risorse europee hanno raggiunto lo scopo di innalzare sia il livello potenziale che quello reale della nostra crescita) e uno “pessimistico” (in cui, invece, torniamo a crescere più o meno al livello medio degli ultimi trent’anni: 1% nel 2024, 0,9% nel 2025 e 2026, e una media dello 0,8% fino al 2030). Questo scenario è già pessimistico abbastanza, perché prevede che all’inizio del prossimo decennio il nostro rapporto debito/Pil sia ancora sopra quota 150% e sostanzialmente allo stesso livello del 2023 (per l’esattezza, 151,4%).
Tuttavia, analizzando bene le ipotesi, questo scenario “pessimistico” contiene ancora tre ipotesi estremamente generose:
- che l’inflazione torni stabilmente intorno al target del 2% (1,8% nel 2025 e 2% da lì in poi)
- che il tasso di crescita del Pil reale si assesti su un livello doppio rispetto alla media degli ultimi vent’anni
- che il costo medio del debito rimanga per tutto il periodo stabile al 2,1%, vale a dire che non ci siano tensioni finanziarie rispetto alla situazione attuale, che vede un massiccio intervento della BCE nell’acquisto delle nostre passività pubbliche sul mercato secondario.
Che succede allo scenario pessimistico se uno o più di queste ipotesi “tutto-sommato-ancora-ottimistiche” non si realizza?
Ipotizziamo che l’ipotesi 3) rimanga , vale a dire che non vi siano particolari tensioni finanziarie sul mercato del debito sovrano e che pertanto il nostro costo medio di finanziamento rimanga ai minimi attuali. Ci sono invece ben fondate ragioni per dubitare della tenuta delle prime due ipotesi. La letteratura economica ha messo in evidenza che la persistente debolezza dell’inflazione ormai da quasi un decennio (nonostante le massicce iniezioni di liquidità) mostra probabilmente un cambiamento strutturale nelle dinamiche di formazione dei prezzi, influenzata da fattori strutturali quali la dinamica demografica e la pressione competitiva esercitata dalla globalizzazione sui fattori produttivi. E riguardo all’ipotesi di un tasso di crescita intorno all’un per cento, dato il ritmo medio degli ultimi vent’anni (meno della metà), è legittimo chiedersi cosa accadrebbe se invece non avessimo la forza di distaccarci dalla velocità di crociera che abbiamo avuto, in media, da quando è iniziato questo secolo.
Andiamo quindi a vedere cosa accadrebbe se inflazione e crescita – vale a dire il tasso di crescita nominale del Pil – non dovessero rispettare le forse-ottimistiche previsioni dello scenario “pessimistico” del governo.
La Figura 1 mostra dei possibili andamenti del rapporto debito/Pil nei prossimi dieci anni. Per i primi tre anni (2021, 2022 e 2023), come detto, ci limitiamo a riportare la dinamica prevista dal governo (linea nera). Dal 2024 in poi ipotizziamo che l’inflazione sia al 1,4% (un livello comunque doppio rispetto all’anno pre-Covid, il 2019) invece di tornare piuttosto rapidamente nei dintorni del 2% come previsto dal governo. E verifichiamo anche le ipotesi alternative rispetto alla crescita. Che succederebbe se il tasso di crescita della nostra economia dovesse ritornare al livello medio dei dieci anni pre-Covid (-0,25%, linea rossa) o degli ultimi venti anni pre-Covid (+0,45%, linea verde).
Come vedete, in entrambi i casi il rapporto debito/Pil andrebbe su una traiettoria esplosiva, salendo a inizio del prossimo decennio alle soglie del 170% nel caso in cui non riuscissimo a fare meglio della media degli ultimi dieci anni o alle soglie del 160% nel caso la nostra performance di crescita fosse quella media degli ultimi venti.
Vale a dire, circa venti (o dieci) punti in più rispetto a quanto attualmente previsto dal governo nello scenario più avverso. Per evitare questa traiettoria, sarebbe necessario realizzare una serie di consistenti e consecutivi avanzi primari. Vale a dire, sempre rispetto allo scenario “pessimistico” del governo, tagliare le uscite pubbliche o aumentare le entrate di almeno due o tre punti di Pil, o persino di più. Una manovra di dimensioni tali da rendere probabile un effetto recessivo sul tasso di crescita dell’economia, realizzando così il tipico “avvitamento” che accade in questi casi.
Ed entrambi gli scenari mantengono una ipotesi “ottimista”, vale a dire il mantenimento del costo medio del debito ai livelli minimi attuali. Una ipotesi molto difficile da mantenere, considerato il venir meno – che entro questo decennio è certo – dell’intervento straordinario della BCE e che è impossibile qualora si realizzi l’effetto-avvitamento appena descritto.
La seconda domanda: l’effetto della seconda ondata nel breve periodo
L’analisi precedente è stata condotta nell’ipotesi che fino al 2023 tutto vada nelle migliori previsioni del governo (la linea nera nella figura 1). Le quali, come noto, non comprendono gli effetti della seconda ondata di Covid-19 attualmente in corso.
Ipotizziamo che questa recrudescenza del virus abbia un impatto tutto sommato lieve per il 2020, portando il rapporto debito/Pil al 160% anziché il 158%. E, concedendo ancora una massiccia dote di ottimismo, lasciamo invariati gli altri parametri (in primis inflazione e disavanzo primario che, in caso di diminuzione della crescita, avrebbero invece effetti ulteriormente peggiorativi sulla dinamica del debito).
Per quanto concerne l’effetto sulla crescita 2021, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio[3] ha stimato che in caso di scenario più avverso per quanto concerne una seconda ondata, l’effetto negativo possa essere compreso tra i tre e i sei punti percentuali di diminuzione del tasso di crescita previsto nello scenario programmatico. Il governo[4] ha stimato una diminuzione di 4,2 punti (è importante precisare che entrambe queste stime sono state fatte prima dell’aggravarsi della ripresa del contagio).
Facciamo quindi un esercizio di simulazione sul debito/Pil 2021 utilizzando tre diversi scenari di crescita rispetto allo scenario incorporato nei documenti di finanza pubblica (+6%) e che non considera la seconda ondata : quello ipotizzato dal governo (1,8%) e i due estremi dell’intervallo di previsione dell’UPB (0% e 3%).
La tabella 1 mostra i risultati:
Fonte stima | Ipotesi crescita Pil 2021 | Debito/Pil 2021 |
UPB_pessimista | 0% | 163,9% |
governo | 1,8% | 161,1% |
UPB_ottimista | 3% | 159,2% |
In assenza di seconda ondata, il debito/PIL del 2021 si fermerebbe al 155,6%. La tabella mostra invece che ora questo livello potrebbe essere dai circa 4 ai circa 8 punti superiore, a seconda dell’intensità dell’effetto negativo sul 2021 della recrudescenza Covid in atto.
Come conseguenza, anche l’analisi precedente ne verrebbe modificata: se nella Figura 1 il debito/Pil 2021 non fosse 155,6% bensì uno dei tre valori riportati dall’ultima colonna della Tabella 1, l’intera dinamica del decennio risulterebbe peggiore di quanto riportato.
Conclusioni
L’intero impianto di finanza pubblica per il prossimo decennio – anche nello scenario pessimistico previsto dal governo a scopi prudenziali – si fonda sull’ipotesi che, basandosi soprattutto su un efficace utilizzo delle risorse del Next Generation EU, il tasso di crescita reale della nostra economia dal 2024 in poi sia almeno il doppio di quello medio degli ultimi vent’anni e che il costo medio del debito rimanga ai livelli minimi attuali.
Questo esercizio di simulazione ha mostrato che se invece lo sforzo dei prossimi mesi dovesse fallire e la nostra economia, conclusa l’emergenza Covid, tornasse a procedere alla stessa “velocità di crociera” media degli ultimi vent’anni, il nostro rapporto debito/Pil andrebbe su una traiettoria esplosiva.
Anche non considerando il (invece più che probabile) peggioramento delle condizioni di finanziamento, che non potranno non risentire dell’interruzione – che nell’arco del decennio è pressoché certa – dell’interventismo della Banca Centrale Europea, nonché dell’aumento endogeno del rischio di credito connesso al deteriorarsi delle condizioni di finanza pubblica.
E, come mostrato in seguito, la situazione è persino peggiore se cominciamo a tener conto dei possibili effetti della seconda ondata Covid in atto.
Per l’Italia, dunque, la missione di apportare nei prossimi 18-24 mesi cambiamenti profondi alla nostra struttura economica (agendo sui fattori che determinano la scarsa crescita di produttività e i gap di offerta di lavoro, così come sull’efficacia e efficienza del sistema tributario) al fine di tornare a crescere più di quanto abbiamo fatto finora, non è una sfida come un’altra. Non è l’ennesimo proclama acchiappa-sondaggi a cui la politica italiana ha abituato per decenni gli italiani.
Ma è l’ultima chance per evitare il baratro, che altrimenti ci attende con certezza.
Rimane da capire come (con quale assetto e quale atteggiamento) la politica italiana intende affrontare questi prossimi 18-24 mesi, che saranno cruciali come mai nella nostra storia repubblicana.
Ecco, erano queste le parole che nessuno ha ancora detto.
[1] Fonte: Documento Programmatico di Bilancio 2021, Tabella I.4-1, pag.10
[2] Fonte: Nota di Aggiornamento al DEF 2020, Sezione III.5, pp.88-91.
[3] Fonte: Ufficio Parlamentare di Bilancio, Nota sulla Congiuntura, Ottobre 2020, pag. 21
[4] Fonte: Documento Programmatico di Bilancio 2021, pag.7.