In memoria di Giovanni Falcone

Per molto tempo si è creduto che la mafia fosse “semplicemente” un’associazione criminale dedita – come tante altre nel mondo – ad arricchirsi con traffici illeciti.

Giovanni Falcone capi’ che non era così.

Capi’ per primo che Cosa Nostra era nient’altro che un sistema di potere alternativo a quello dello Stato: aveva organizzazione, governance, un sistema di giustizia interna; il controllo del territorio, persino dei valori fondanti (o almeno tali li ritenevano i propri aderenti). Un sistema di potere che fa uso della violenza senza preclusioni. Ma pur sempre un potere.

Giovanni Falcone capi’ che quando su un territorio coesistono due poteri, o si combattono finché ne rimane uno solo, oppure si mettono d’accordo, creando strutture di collegamento permanenti (con “menti raffinatissime”) dove il potere si co-gestisce.

Giovanni Falcone non fu ucciso per vendetta perché dieci anni prima aveva istruito, assieme a Paolo Borsellino, il maxi-processo a Cosa Nostra.
Fu ucciso perché aveva capito tutto questo, e stava attrezzando lo Stato italiano con gli strumenti (giudiziari e culturali) per cambiare passo.

Anche su quanto accaduto quel sabato di 29 anni fa a Capaci, come su tutti gli altri snodi principali e tragici di questa Repubblica (da Portella della Ginestra a Moro, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna) non conosciamo tutta la verità.

Non sappiamo chi violo’ il computer di Falcone dopo la sua morte, non sappiamo come fecero gli attentatori a sapere dell’arrivo di Falcone (che viaggiava su un aereo dei servizi, quindi coperto da segreto), non sappiamo a chi appartiene il DNA femminile sulla collinetta di Capaci (come riscontrato all’interno del procedimento penale Capaci-bis attualmente in corso).

Non sappiamo la genesi di alcuni strani e sospetti suicidi che seguirono la strage, in primis quello di Antonino Gioe’ (“un altro segreto che ci portiamo appresso”, lo definì Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico della Presidenza della Repubblica).

Soprattutto, non sappiamo perché Riina – che aveva già mandato un commando a Roma (dove Falcone godeva di quasi totale libertà di movimento) – all’ultimo momento viro’ per una strage eclatante, di non banale esecuzione per un gruppo di individui molto semplici quali erano Giovanni Brusca e soci.

Quante cose non sappiamo. E non sapremo mai.

Una però si.
Sappiamo che quel “ragazzo palermitano”, Giovanni Falcone, ha rappresentato e sempre rappresenterà il meglio dell’Italia.

Quell’Italia che quando tutti ti dicono “ma chi te lo fa fare, adeguati al sistema e cerca di trarne qualche vantaggio per te” risponderà sempre come rispondeva lui, citando una frase di John Kennedy: “un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana”.

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