Ieri, nel mezzo della polemica su se indossare un orologio costoso e chiedere al contempo una più utile configurazione delle politiche del welfare sia di “destra” o di “sinistra”, ho fatto un piccolo esperimento.
Ho chiesto come i commentatori classificherebbero una politica che – applicando i costi standard all’acquisto di beni e servizi del settore pubblico – provi a risparmiare 5 mld annui, da destinare al finanziamento integrale dell’istruzione superiore e universitaria per i “capaci e meritevoli ma privi di mezzi”, testando e verificando opportunamente sia la “capacità”, che il “merito” che l’assenza di “mezzi”.
I centinaia di commenti spaziano lungo tutte le possibili risposte: chi la considera di destra perché si osa nominare la riduzione di una qualsiasi componente della spesa pubblica, chi la considera di sinistra perché implica una qualche sorta di aiuto a chi ha di meno; chi la definisce “ne’ di destra né di sinistra ma semplicemente di buon senso”. E infine chi, pur sapendola leggere, non l’ha compresa: perché il campione, pur ovviamente non rappresentativo, rispecchia pur sempre la società, che ahimè comprende anche l’analfabetismo funzionale (un tema che rimuoviamo, ma che ahimè è ben presente).
Sarebbe successa la stessa identica cosa se avessi chiesto come valutare una aggressiva politica per la concorrenza, che riducesse il potere di mercato delle imprese monopoliste o oligopoliste. Ci sarebbe stato chi l’avrebbe definita “di sinistra” perché “è contro le imprese!” e chi l’avrebbe definita “di destra” perché “concorrenza vuol dire liberismo selvaggio”. E ci sarebbero stati tanti che l’avrebbero definita misura di buon senso.
E la stessa cosa vale, se ci pensate, per i vaccini: le polemiche di questi mesi tra le forze politiche non sono conseguenze dei differenti set di valori o delle alternative visioni della società, ma dalla semplice corsa ad accaparrarsi i milioni di voti degli scettici dei vaccini.
La politica à-la-carte, insomma. “Se non vi piacciono i miei principi, ne ho altri”, come diceva il comico Groucho Marx (meglio specificare, dati i tempi, che non si tratta del filosofo fondatore del comunismo).
Del resto in questa legislatura abbiamo osservato, senza battere ciglio, individui fare i ministri e i presidenti del consiglio in governi che hanno fatto esattamente l’opposto dei governi di pochi mesi prima, in cui loro ricoprivano le stesse identiche cariche.
Capiamo bene ora perché sia così forte la corsa a etichettare di “destra” o “di sinistra” qualcosa o qualcuno solo per l’orologio che indossa, per quante volte nomina nella frase la parola “patrimoniale” o “pubblico”, e persino per le persone che frequenta.
Perché, da un po’ di tempo ormai, in Italia non esistono più culture politiche chiare e coerenti, che si riferiscano alla realtà di questo secolo e non di quello precedente.
Allora, meglio perdere tempo dietro all’orologio di Roman. Sai quanti like in più.