Il reddito di cittadinanza è stato introdotto con tre obiettivi:
1) aiutare chi è disoccupato a trovare un lavoro
2) aumentare il reddito dei “working poors” (coloro che, pur lavorando, guadagnano pochissimo)
3) fornire un efficace sussidio contro la povertà.
La misura funziona male su tutti e tre questi obiettivi, soprattutto i primi due.
Ecco perché deve essere abolita e sostituita con un mix di misure più efficaci e utili.
Cosa vuol dire? Vediamo:
1) tutto lo spettro politico – nessuno escluso – concorda che questa parte sia stata un fallimento completo.
Occorre approfittare dei cambiamenti costituzionali all’esame del parlamento per far divenire il lavoro competenza esclusiva dello Stato (al momento è concorrente con le Regioni, e questo rende immensamente più complicata ogni ipotesi di riforma radicale). A quel punto il sistema delle politiche attive può innestarsi su quello delle politiche passive: ad ogni disoccupato può venire corrisposto un “assegno di ricollocazione”, da spendere presso un centro di formazione professionale – pubblico o privato – il quale lo incassa solo al termine del processo di formazione e ricollocazione del lavoratore.
2) non funziona neanche l’aiuto ai working poors. Se oggi mi arrangio con dei lavoretti e metto insieme 4.000 euro l’anno, non ho alcun incentivo a dichiararli: prendo il reddito di cittadinanza e continuo a fare quei lavoretti in nero.
Noi pensiamo invece di istituire la cosiddetta “imposta negativa”. Immaginiamo di fissare a 10.000 euro l’anno la soglia sotto la quale non si pagano tasse (il “minimo esente”): lo Stato corrisponde all’individuo una percentuale crescente della differenza tra 10.000 e il suo reddito.
Esempio: nel caso di prima, guadagno 4.000 euro. Quindi sono 6.000 sotto la soglia (10.000 – 4.000 = 6.000). Immaginiamo che lo Stato mi dia il 70% di quella somma mancante, cioè 4.200 euro.
La percentuale che lo Stato corrisponde (“imposta negativa”, proprio perché viene data anziché tolta) dovrebbe crescere con l’aumentare del reddito dichiarato, in modo che ci sia un incentivo a lavorare (e dichiarare), invece che stare in nero. L’esatto contrario del reddito di cittadinanza ora.
3) anche la parte che qualcuno incensa di più – il sostegno ai poveri – in realtà funziona male.
A nostro avviso deve essere sostituita da un meccanismo che modifichi radicalmente le tre principali storture:
a) deve essere cambiata la “scala di equivalenza” per la quantificazione del sussidio, in modo da eliminare l’attuale svantaggio relativo delle famiglie numerose.
b) il sussidio deve essere parametrato al costo della vita (che varia notevolmente lungo il territorio nazionale), in modo da garantire a tutti i beneficiari lo stesso potere d’acquisto.
c) poiché l’uscita dalla povertà non è un concetto solo monetario ma “multidimensionale” (che investe le dimensioni sociali, educative, sanitarie ecc), occorre tornare a coinvolgere maggiormente il livello istituzionale più vicino all’individuo – il comune – in modo da abbinare al sussidio una strategia di riattivazione che investa tutte le dimensioni sopra citate.
Riteniamo questo sistema alternativo più utile alla crescita economica, al lavoro e all’equità e giustizia sociale.
Chi vuole discuterne nel merito è benvenuto.