Abbiamo visto che la spesa corrente primaria ( = la spesa per il funzionamento ordinario del settore pubblico, al netto degli interessi sul debito) dal 2009 al 2019 e’ aumentata di circa il 14% in termini nominali, ma è rimasta pressoché costante sia in termini reali che in rapporto al Pil.
Questo ci dice che la riduzione del deficit accaduta in quegli anni (dal 5,1% del 2009 al 1,6% del 2019) non è stata ottenuta tramite sacrifici di spesa corrente primaria.
Ma allora, come si è raggiunta?
PUNTATA 2: LA SPESA IN CONTO CAPITALE
La spesa in conto capitale comprende:
a) gli investimenti pubblici (diretti o tramite contributi ad altri soggetti)
b) le spese per acquisizione di partecipazioni, azioni, conferimenti, concessioni di crediti.
Il primo grafico mostra l’andamento della spesa in conto capitale in euro: è diminuita di 18,6 miliardi: quasi un quarto in meno.
Il secondo grafico mostra l’andamento in rapporto al Pil: l’incidenza si è ridotta di ben 1,6 punti percentuali.
Il terzo grafico mostra l’andamento in termini reali (cioè tenendo conto dell’inflazione). E qui il crollo – evidenziato dal primo grafico – è ancora più evidente: in termini reali, la spesa in conto capitale si è ridotta di più del 30%.
Quindi abbiamo un primo verdetto: se la spesa corrente primaria non ha partecipato per niente alla riduzione del deficit (vedi puntata 1) la riduzione della spesa in conto capitale ha contato per quasi la metà del risanamento dei conti pubblici avvenuta nel decennio scorso.
Dal 2009 al 2019 hanno governato tutti i partiti attualmente presenti in Parlamento.
E ognuno di noi può controllare, guardando i grafici in dettaglio, come si siano comportati i 7 governi che si sono avvicendati in questo lasso di tempo.
Ma lungo l’intero arco 2009-2019 (ammesso che abbia senso fare questo discorso, essendoci stati così tanti governi) un fatto emerge con certezza: la necessaria riduzione di spesa è stata scaricata interamente su quella in conto capitale.