Intervista a Il Riformista – 7 gennaio 2022.
Obbligo vaccinale over 50 e Super green pass, il governo sta rispondendo bene, secondo lei, a questa quarta ondata?
Avrei preferito un obbligo sopra i 40 anni e il super green pass per accedere ai servizi essenziali. Ma ciononostante festeggio comunque il risultato finale, che ci rende il primo paese in Europa ad aver rotto il tabù dell’obbligo vaccinale, ancorché parziale. In molti dimenticano che in una repubblica parlamentare anche l’enorme autorevolezza di Draghi deve necessariamente mediare con una maggioranza estremamente eterogenea, specialmente su alcune tematiche. In questi 12 mesi è sempre successo: su fisco, concorrenza, superbonus e tanto altro ancora. Mi verrebbe una battuta: chi è così infastidito dalle mediazioni, ha una sola possibilità: far passare la “Mario’s way” attraverso un bagno di consensi elettorali, per far sì che sia maggioranza nel prossimo parlamento.
L’arrivo di Draghi al governo è stata una sconfitta della politica o, come dice Renzi ancora ieri (oggi), “un capolavoro”?
Un po’ tutti e due. È stato un capolavoro di Matteo Renzi. Solo lui, in quei difficili giorni di un anno fa, ebbe coraggio e fermezza nel voler andare fino in fondo, guidato dalla convinzione che l’Italia meritasse le energie migliori in quel momento cruciale. Nei momenti più difficili tanti di noi ebbero qualche istante di dubbio, lui no. Ed un paese serio dovrebbe riconoscerglielo. Credo anche, però, che a rendere necessario l’arrivo di Draghi sia stato in qualche misura un fallimento di sistema, indipendentemente dai singoli protagonisti. Il fallimento di una politica che da qualche decennio ha smesso di formare, selezionare e ricambiare classe dirigente, ma che ha preferito saltare direttamente alla terza fase (il ricambio), con i risultati che si sono, mediamente, visti in questa legislatura. Ma le cui cause vengono da lontano.
Nei fatti l’impulso riformista di Draghi ha surclassato quell’iniziativa che forse, ammette lo stesso Enrico Morando, doveva essere in mano al PD…
Draghi esprime un riformismo che attualmente non c’è in nessuno schieramento politico. Un riformismo liberale e pragmatico in grado di conciliare sapientemente le azioni che il paese deve intraprendere in modo deciso se vuol evitare il definitivo declino con la vischiosità di una società troppo condizionata da rendite di posizione e non così entusiasta di cambiamenti radicali. È proprio questo il riformismo che Italia Viva – spero assieme ad altri – ambisce a canalizzare in una vera offerta politica liberal-democratica, in grado di offrire agli italiani una compiuta alternativa tra sovranismo e conservatorismo. Il Pd mi sembra ancora troppo pronto a scattare sull’attenti ogni volta che Landini parla, per aderire ad una prospettiva del genere. Al momento, perlomeno.
Il PD che lega il suo asse strategico ad un vincolo esclusivo con M5S opera nei fatti un passo indietro. Ed ecco che si ritrova con D’Alema e Bersani.
Il PD sembra giocare con lo stesso schema del 1996 e del 2006, chiamando ad una santa alleanza (oggi si chiama “campo largo”) entro cui riunire tutti quelli che si oppongono al “cattivo” di turno. In quelle occasioni era Berlusconi, oggi è l’accoppiata Salvini/Meloni. Per me è uno schema sbagliato per raggiungere quell’obiettivo. Perché può anche capitarti di vincere le elezioni, anche se nel 2006 in realtà non le hai vinte e nel 1996 solo perché la destra andò separata. Ma poi, come dimostrano entrambe quelle esperienze, non solo non riesci a produrre quel cambiamento di cui l’Italia ha bisogno, ma non riesci a governare per più di qualche mese. In più, rispetto a 25 o 15 anni fa, la scelta del Pd è ancora più paradossale: non solo perché nel frattempo il mondo è cambiato e necessita di scelte politiche forti e non annacquate in ammucchiate in cui c’è tutto e il suo contrario. Ma anche perché suscita davvero perplessità l’idea di considerare il M5S un partner del riformismo democratico. Un movimento nato esclusivamente sull’onda della protesta, e che in 10 anni non è riuscito a sviluppare né una classe politica di qualità né una cultura politica a tutto tondo, ma si limita a far da megafono agli orientamenti di volta in volta prevalenti, o che si pensa possano essere prevalenti. Se il Pd pensa che così si possa costruire un’offerta politica in grado di guidare l’Italia nella fase post-Covid, tanti auguri. Noi la pensiamo in un altro modo.
Sul Riformista il professor Michele Prospero dice che il nome della sinistra italiana è oggi quello di Supermario. Enrico Morando sostiene che sotto l’influsso di Draghi possano unirsi in uno stesso soggetto socialisti e liberali. È dello stesso avviso?
È la prima volta in 20 anni che mi trovo in disaccordo con Enrico, che mi onoro di considerare il mio Maestro in politica. Ma sbaglia a non prendere atto del fallimento del sogno di tenere in uno stesso partito approcci culturali così drammaticamente divaricati. E che anzi sono ancora più divaricati, in tutto il mondo, dopo le due prime crisi della globalizzazione, quella finanziaria del 2008 e quella sanitaria del 2020. Enrico sembra pensare che sia davvero possibile tenere insieme chi vuole la patrimoniale, e chi vuole ridurre le tasse; chi vuole solo redistribuzione, e chi vuole crescita con allargamento delle opportunità; chi vuol pagare di più gli insegnanti più bravi, e chi restituisce al Ministero anche pochi spiccioli se non sono divisi in parti uguali per tutti; chi difende il Jobs Act e chi lo considera una terribile malattia; chi vaneggia ogni due minuti di ‘liberismo selvaggio’ e chi vuole più concorrenza e liberalizzazioni; chi pensa che la soluzione ad ogni problema sia lo Stato, e chi vuole “meglio Stato e più mercato”; chi vuole contrastare le delocalizzazioni vietandole, e chi vuole migliorare le condizioni di attrattività dei territori. Conosco la contro-risposta: in Gran Bretagna e negli USA accade. Innanzitutto, come lo stesso Morando riconosce nell’intervista di ieri, non è più tanto vero nemmeno lì. Ma soprattutto c’è una differenza sostanziale: in quei paesi, quando una delle due componenti (socialista Vs liberale) vince il congresso, può dettare la linea politica per 5 anni. In Italia per 15 anni il film è stato diverso: dal minuto dopo, chi perde ha come obiettivo la demolizione di chi ha vinto. Enrico sembra credere che sia ancora possibile fare diversamente. Io no, non ci credo più.
Sullo scostamento di bilancio lei non vuole fare concessioni. Abbiamo fatto già troppe deroghe?
Ho semplicemente detto che dopo circa 200 miliardi di deficit in meno di due anni, meglio non assuefarsi all’assenza perenne di ogni vincolo di bilancio. Sarebbe pericoloso, specialmente in un paese come questo, abituato per decenni a utilizzare il deficit in maniera disinvolta, e spesso per acquistare e mantenere consenso politico più che per scopi di stabilizzazione macroeconomica. Sono convinto che alcuni settori (in primis il turismo e l’alberghiero) stiano tornando in difficoltà con questa recrudescenza della pandemia, ma verifichiamo bene l’entità del problema e poi facciamoci fronte con i mezzi necessari. Ma un conto è dire questo, ben altro è chiedere uno scostamento (che tra l’altro non sarebbe facilissimo da fare in un anno in cui il Pil è previsto crescere del 4,7%) mentre è ancora calda la postazione su cui abbiamo messo la mano per votare una legge di bilancio finanziata in deficit per 23,5 miliardi.
Torna l’inflazione. Aumentano vertiginosamente luce e gas, e a cascata i prezzi dei prodotti di consumo. Soluzioni?
A livello internazionale non è ancora chiaro quanto l’attuale rialzo dell’inflazione sia dovuto alll’attuale dinamica dei prezzi del gas e quanto, invece, sia relativo a considerazioni macroeconomiche più generali, cioè alla fine generalizzata di più di un decennio senza inflazione. In ogni caso il problema delle bollette va affrontato: sia con soluzioni immediate che con quelle strutturali. Per il primo fronte, il governo ha stanziato quasi 9 miliardi, più del primo modulo della riforma fiscale; vedremo come evolverà il prezzo del gas nelle prossime settimane, attorno a Natale si era quasi dimezzato ma ora purtroppo pare stia risalendo. Se sarà necessario, interverremo ancora, magari agendo sul lato fiscale. Ma non vorrei che ci concentrassimo solo sull’immediato, dimenticando che la marcata dipendenza dall’estero e la necessaria transizione ecologica ci impongono di fare scelte strutturali forti, che guardino ai prossimi 50 anni. E su questo sono un po’ preoccupato: in Italia la politica tende spesso a rifugiarsi nello slogan e nella demagogia quando si tratta dei prossimi 50 giorni, figuriamoci dei prossimi 50 anni.
Italia Viva, Azione e Più Europa daranno vita a un RenewEurope italiano? Se sì, quale forma avrà?
Io spero di sì, e non mi vorrei fermare lì. Ci sono tanti riformisti liberali, al momento “costretti” nelle catene di un bipolarismo ormai fallito. Ma devo prendere atto che al momento Azione non sembra interessata, preferendo un percorso solitario. Sono tra coloro che sperano ancora, invece, che un progetto politico così importante possa sopravanzare le incomprensioni di carattere personale.
L’idea di amalgamare i gruppi di centro alla Camera – Italia Viva e Coraggio Italia, per partire – prende corpo guardando ai giorni del Quirinale?
Non so, se ne stanno occupando altri. Io sono solo un economista prestato alla politica. Dipende sempre da come si fanno le cose: se deve essere un’unione di ceto politico, storicamente non ha mai portato a granché. Se invece è l’inizio di una convergenza, pazientemente e strutturalmente costruita, su una linea liberal-democratica e autenticamente riformista, allora può essere una parte importante della costruzione di una nuova offerta politica.
E proviamo a fare spoiler: come va a finire per il Colle?
Lo spoiler si fa sulle cose che sono già scritte e che qualcuno già conosce. Mentre qui, mi pare di capire, si navighi davvero al buio. Le posso dire cosa auspico: un’elezione rapida (perché non possiamo permetterci di paralizzare la politica per settimane), una larghissima maggioranza (perché abbiamo bisogno di coesione), una personalità autorevolissima e di sicuro ancoraggio atlantico (perché il mondo è complicato, e lo sarà ancor di più) e un governo stabile e autorevole fino a fine legislatura (perché nell’anno che si è appena aperto dobbiamo rispettare 102 traguardi e obiettivi del Pnrr, altrimenti i soldi non arrivano). Quest’ultima cosa, in particolare, credo non sia stata ancora ben compresa dalla classe politica.