Intervista di Laura Tecce, “il Quotidiano del Sud”, 11 gennaio 2022.
«L’obiettivo finale è quello di rendere il nostro sistema fiscale più leggero e più semplice, grazie al governo Draghi si è tramutato in una strategia precisa a due tappe», spiega così il presidente della Commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin, la ratio della riforma fiscale approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso ottobre.
«La prima tappa si è realizzata con la legge di Bilancio 2022: si inizia il percorso di abolizione dell`Irap, che per ora viene cancellata per 835.000 persone fisiche e ditte individuali, più del 40% del totale di coloro che pagano l’imposta. E si inizia il percorso di riforma dell’Irpef, un’imposta che in mezzo secolo di vita non ha mai avuto una riforma organica ed è diventata così complicata da aver bisogno di un manuale di 341 pagine per provare a capirne il funzionamento. Le aliquote scendono da 5 a 4, si potenziano e semplificano le detrazioni, e i 7 miliardi investiti consentono una riduzione delle tasse per tutti i contribuenti, ma con un aiuto un po’ più forte, in valore assoluto, per quel ceto medio che era stato completamente dimenticato negli ultimi dieci anni e che era gravato da una pressione fiscale insostenibile. La seconda tappa verrà realizzata nel corso del 2022 con la delega fiscale – attualmente all’esame della Commissione che presiedo – e con i relativi decreti legislativi. Completeremo il percorso di superamento dell’Irap anche per società di persone e di capitali e di riforma dell’Irpef scendendo a 3 aliquote e semplificando ancora. In più, affronteremo diversi altri temi: la semplificazione della tassazione di impresa e del modo in cui gli autonomi versano le imposte, la codificazione delle norme tributarie in modo che siano semplicemente consultabili, la semplificazione dell`Iva, la riforma della riscossione e spero anche della giustizia tributaria».
Con la recrudescenza dei contagi da Covid e le conseguenti ricadute economiche sono realistici gli obiettivi che si è posto il governo Draghi di una crescita dell’economia superiore al 10% per il biennio 2021-22?
«Per il momento sì, ma è evidente che la situazione va monitorata praticamente di giorno in giorno. Questo maledetto virus ci ha già fatto capire varie volte, in questi due anni, che è capace di mille brutte sorprese. Ma se, come spero, vaccini, terapie e – tra un paio di mesi – l’inizio della bella stagione ne ridurranno definitivamente la pericolosità, allora il 2022 può concludersi con una crescita di molto superiore al 4%, come attualmente previsto. Ma la vera sfida per l’Italia, per quanto riguarda la crescita economica, si gioca dal 2023. Una volta recuperato quanto perso a causa del Covid, infatti, non possiamo permetterci di tornare a crescere alla velocità media con cui siamo cresciuti nei 20 anni (+0,45% in media annua) o nei 30 anni (+0,85%) precedenti la pandemia, ma dobbiamo attestarci su un tasso medio compreso tra l’1,5% e il 2%. Solo così rientreremo gradualmente dall’enorme debito pubblico, e solo così riusciremo a creare le opportunità di cui il Paese, sfiancato da due grandi crisi in un decennio, ha assoluto bisogno».
L’elezione del capo dello Stato sarà dirimente anche per le scelte di politica economica?
«Lo sarà certamente sia nel breve periodo che nel medio. Nel breve perché una manovra scomposta rischia di mandarci alle urne in primavera; e nel primo vero anno del Pnrr, in cui dobbiamo rispettare 102 obiettivi tra traguardi e riforme per poter avere la rata di finanziamento di 40 miliardi, non mi pare proprio un’idea geniale. Nel medio periodo perché il presidente della Repubblica che eleggiamo a fine mese sarà in carica per tutta la prossima legislatura, che non solo sarà quella che concluderà l’attuazione del Pnrr, ma anche – spero – che prenderà le scelte che questo Paese rimanda da 30 anni, a cominciare dalle riforme istituzionali e alle altre decisive per poter vivere la globalizzazione da protagonisti».
Per il suo partito, Italia Viva, uno dei punti chiave sul quale intervenire, anche grazie al Pnrr attraverso i fondi del Recovery Fund, sono le infrastrutture che soprattutto al Sud rappresentano un fattore determinante per la crescita e lo sviluppo. A che punto siamo?
«Nel 2021 il ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili – che si avvale anche del prezioso lavoro della viceministra Bellanova – ha sostanzialmente concluso la fase di attribuzione e ripartizione delle risorse ai soggetti attuatori (più di 60 miliardi tra Pnrr e Piano complementare, che quasi per il 90% sono opere pubbliche e infrastrutturali). Al Sud sono assegnate il 55% di queste risorse. Ora si apre la fase più delicata, quella della realizzazione pratica: progettazione, bandi di gara, assegnazione, realizzazione lavori. Non è un segreto che è proprio qui che storicamente si è inceppato il meccanismo, soprattutto al Sud. Ecco perché il 2022 è un anno cruciale: dobbiamo dimostrare di aver imparato a spendere. A spendere bene, e a spendere in fretta».