La politica italiana difficilmente riesce a far passare un paio di settimane senza un tema su cui far scatenare le curve ultrà a suon di canti ritmati e slogan orecchiabili.
Sono quasi sempre temi ricorrenti: saltano fuori, il tempo di far sfogare le tifoserie, poi si inabissano di nuovo fino al prossimo derby. Ovviamente nel frattempo non succede un accidente di nulla. Perché si sa, conta quello che dici, mai quello che fai.
E così ci risiamo: se pronunci le parole “salario minimo”, sei di sinistra. Se avanzi dubbi, sei di destra.
Fine del discorso, del ragionamento, dell’approfondimento.
Come sempre, qualcuno di noi è un inguaribile ottimista (o ingenuo), e prova a porre la questione in termini leggermente più articolati; magari difficili da incasellare in un manifesto elettorale, ma tant’è.
Se si vuole affrontare con cognizione di causa il tema delle condizioni retributive minime, le opzioni sono due.
1) fissare un livello di salario minimo orario per legge, a livello nazionale e per tutti i settori. A quel punto la contrattazione collettiva dovrebbe inevitabilmente passare in secondo piano, per rendere prevalente la contrattazione territoriale o di secondo livello.
In parole povere, la legge si incarica di stabilire la paga minima compatibile con la dignità. Ma il resto – tutto il resto – verrebbe deciso la’ dove si realizza meglio lo scambio tra lavoro e produttività.
2) decidere che le condizioni minime devono continuare a essere liberamente decise dalla libera contrattazione tra le parti sociali. E quindi, sostanzialmente, lasciare il sistema com’è adesso. Con una sostanziale (e radicale) modifica però: ad ogni la rete della contrattazione è bucata dai cosiddetti “contratti pirata” (cioè firmati da organizzazioni non rappresentative, o peggio). Lasciare il sistema attuale, quindi, presuppone l’approvazione di una serie legge sulla rappresentanza, che alcuni evocano da anni.
Non so se questa sia la volta buona per affrontare il discorso in maniera diversa dallo slogan delle curve ultra. Sinceramente ne dubito.
Tuttavia, se vogliamo provarci, forse sarebbe utile inquadrare il dibattito nella prospettiva più utile a trovare una soluzione che risolva in concreto i problemi, e non solo quella che faccia guadagnare a tizio o caio un punto nei sondaggi del lunedì.