In questo post spieghiamo brevemente in che modo – e con quali coperture – intendiamo rendere il nostro sistema fiscale un po’ più leggero e un po’ più semplice.
Innanzitutto gli obiettivi. La riforma deve averne due:
1) rendere il sistema più semplice, perché la complessità è un costo per le imprese, famiglie e persino Stato.
2) stimolare la crescita economica, la prima emergenza del paese
La riforma vuole innanzitutto riformare le prime 4 imposte italiane: Irpef, Irap, Ires e Iva.
Vediamo brevemente come.
L’Irpef – la principale imposta italiana -deve essere rifatta daccapo, passando da un “manuale di istruzioni” di 341 pagine a uno di non più di 10.
La nuova Irpef deve avere:
a) un minimo esente, cioè una quota di reddito che in ogni caso non ti viene tassata
b) unica detrazione da lavoro, unificando quella degli autonomi a quella dei dipendenti
c) tutte le “tax expenditures” (possibilmente…aggiornate) vanno trasferite fuori dall’Irpef, con un sistema a rimborso diretto per chi paga con strumenti elettronici.
d) e infine bastano tre sole aliquote. Non ce la sentiamo, infatti, di fare come la Lega, che propone un sistema a 18 aliquote e ha pure il coraggio di chiamarla “flat tax”, prendendo in giro elettori e operatori dell’informazione.
L’IRAP va abolita, per tutti. Già quest’anno – grazie al lavoro fatto da noi in Commissione Finanze – 835.000 persone fisiche non pagano più l’IRAP. Dobbiamo proseguire ad abolirla per società di persone e società di capitali (in quest’ultimo caso unificandola con l’Ires).
L’Ires deve avere un’aliquota azzerata per gli utili lasciati in azienda e quelli destinati a schemi di partecipazione dei lavoratori; dimezzata per 5 anni per le imprese che si fondono.
Ma soprattutto, la nuova Ires deve innestarsi sull’unificazione tra bilancio civilistico e bilancio fiscale. Si fa il bilancio (ricavi – costi) e sull’utile si paga l’Ires. Con tendenzialmente le stesse regole per chi fa il bilancio per il codice civile e chi lo fa per l’Agenzia delle Entrate.
Così è più semplice e più trasparente.
L’IVA deve avere due sole aliquote: una ordinaria e una ridotta, avendo cura ovviamente di distribuire in modo equo ed efficiente i beni e i servizi tra le due categorie (e soprattutto le esenzioni).
Occorre una mini-riforma anche della tassazione del risparmio,in senso favorevole al contribuente: deve essere possibile compensare la tassazione su cedole/dividendi con le minusvalenze riportate, e la tassazione deve essere tutta sul riscosso. Più semplice, più trasparente.
Per un “forfettario” che voglia crescere oltre la soglia di 65.000 euro, non ci può essere il “burrone fiscale” che c’è oggi. Altrimenti lui/lei o non cresce, o lo fa in nero. Proponiamo uno scivolo biennale che lo accompagni, se cresce, al ritorno in Irpef ma senza burroni.
Agendo soprattutto sul lato contributivo (oltre che su Irpef) occorre azzerare il carico fiscale/contributivo sugli under 25 e dimezzarlo sugli under 29. Assieme all’investimento su formazione, è la chiave per un più efficiente approccio verso i giovani.
La normativa tributaria (che oggi consiste in migliaia di norme disperse in modo tale che nessuno sa più neanche trovarle) va raccolta in tre testi unici: sfoltiti, semplificati, periodicamente aggiornati e tradotti in inglese.
Il sistema della riscossione va profondamente riformato. Proseguire sull’investimento nel fisco digitale (accompagnato però dalla riduzione degli adempimenti); riforma del magazzino fiscale, perché sui 1100 mld di euro oggi solo 79 solo realmente esigibili.
La riscossione deve passare da una logica meramente (e inutilmente) formale come quella attuale, ad una “manageriale”, improntata all’ottenimento del risultato. E poi simmetria tra gli interessi attivi e passivi sulle somme che lo Stato deve ricevere o dare, e altro ancora.
Il fisco deve essere riformato anche a livello locale. Individuare strumenti fiscali esclusivi in capo a ciascun livello di governo, il cui gettito rimane interamente a quel livello (con fondi perequativi che tengano conto di capacità fiscale e fabbisogni standard).
Per finanziare una riforma sistemica così (che sarebbe la prima dal 1969), si possono usare due fonti:
1) La prima è destinare automaticamente al fondo per la riduzione della pressione fiscale ogni euro GIÀ recuperato nel triennio precedente dalla riduzione del tax gap.
2) La seconda è riportare (con costi standard e accentramento stazioni appaltanti) la spesa per consumi intermedi della PA al livello che avrebbe avuto se negli ultimi 12 anni non fosse cresciuta quasi il doppio dell’inflazione, ma semplicemente in linea con essa.
Infine, la credibilità. L’offerta politica che più di tutte urla di ridurvi le tasse in futuro (il centro-destra), in passato le ha sempre alzate: dello 0,2% nel 2001-2006 e dello 0,1% nel 2008-2011.
Il governo guidato da Matteo Renzi e con Carlo Calenda ministro, invece, la pressione fiscale l’ha ridotta di 2,3 punti (comprendendo gli 80 euro, che contabilmente non lo erano). Ho citato dati Istat, verificabili da chiunque. Da chiunque abbia la voglia e l’interesse di farlo, ovviamente.
CONCLUSIONE.
I nostri avversari hanno slogan vuoti, quando non addirittura falsi (come la panzana della flat tax). Il #TerzoPolo invece propone di riformare, per la prima volta in mezzo secolo, un sistema fiscale che ormai non funziona più.