La mia intervista ad Open del 5 gennaio 2022
Onorevole Luigi Marattin, secondo alcuni c’è già una nuova vittima predestinata dello spoils system da parte del governo Meloni. Si tratterebbe di Alessandro Rivera, direttore generale del ministero del Tesoro. Le pare una prospettiva credibile?
«Non ho elementi di conoscenza diretta, ma da come il governo si è mosso finora, anche nello stesso Mef, ma non solo, penso sia sicuramente un’opzione possibile, ma non so quanto probabile».
Non si rischia di privarsi di tecnici di livello pur di essere fedeli alla linea politica?
«Conosco e stimo Alessandro Rivera da molti anni, e personalmente, per quello che conta, ci penserei davvero a fondo prima di privarmi di un uomo della sua esperienza. Tuttavia va riconosciuto il diritto di un nuovo governo di esercitare il diritto di cambiare la dirigenza pubblica. Non è di per se una bestemmia. Certo, occorre sempre andare a vedere la qualità del sostituto in rapporto alla qualità del predecessore».
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, potrebbe indebolirsi secondo lei?
«A me interessa poco se Giorgetti si rafforza o si indebolisce. A me interessa che in uno dei 3 ruoli top della dirigenza pubblica, quello, appunto, di direttore generale del Tesoro, ci sia una persona in grado di interfacciarsi con la Ue con autorevolezza e competenza, a tutela esclusiva degli interessi nazionali».
Come giudica le scelte fatte per Legnini e Magrini esclusi, rispettivamente, dalla carica di Commissario al terremoto e di direttore generale dell’Aifa?
«Giovanni Legnini ha fatto un ottimo lavoro come Commissario al terremoto. Il suo sostituto, Guido Castelli, è persona seria: ma quello è un ruolo delicatissimo e giudicheremo dai fatti. Non conosco personalmente Magrini ma so che è persona di prim’ordine: spero che il suo sostituto sia all’altezza».
Il nome di Rivera è legato alla vicenda Banca Etruria, si dice che i suoi colleghi Renzi e Boschi non gliel’abbiano perdonata, le risulta?
«Ma no, figuriamoci. Tuttavia una cosa la voglio spiegare. A otto anni di distanza possiamo dire che la vicenda delle 4 banche, tra cui Etruria, che furono poste in risoluzione nel 2015 va rivista con tutt’altro sguardo. Se fosse servita a inaugurare una prassi, dolorosa ma efficace, di disciplina bancaria, come personalmente all’epoca credevo, sarebbe stato un conto. Ma poiché in seguito nessun istituto in crisi ha subito un trattamento analogo in Italia, e pochissimi in Europa, allora devo concludere che in quella vicenda più di qualcosa sia andato storto. Ma le colpe credo siano quasi interamente concentrate in Europa, più che in Italia».