Cronaca della strofa mancante nell’Inno di Mameli: quando hai una colpa che non sai o non vuoi spiegare, dai la colpa a qualcun altro.
Il Consiglio Europeo di ieri e oggi era dedicato a decidere come rispondere all’Inflation Reduction Act, cioè il corposo provvedimento di incentivi economici con cui il governo USA vuole incentivare la transizione verde e favorire la nascita e l’insediamento di imprese.
Finora la UE ha risposto allentando la disciplina degli aiuti di Stato,che da 30 anni era un pilastro della politica economica europea e il cui senso era “se mercato unico deve essere, non può essere drogato dagli aiuti pubblici che ogni stato desidera dare alle proprie imprese”.
La soluzione ottimale era (sarebbe stata?) concepire un provvedimento analogo all’Inflation Reduction Act, ma a livello ovviamente europeo e finanziato da passività comuni europee.
Ancora una volta infatti, come nel caso della direttiva sulle case, il concetto è semplice: se vi è un obiettivo di politica economica comune (la riduzione di emissioni dagli edifici, la transizione verde, la gestione dei flussi migratori, la difesa, la ricerca scientifica ecc) deve essere gestito da istituzioni comuni e finanziato da risorse comuni.
Tutto ciò non sarà realizzato, almeno nel breve termine.
E per un motivo abbastanza semplice: molti Stati Ue – prima di fare altro debito comune – vogliono vedere se siamo in grado di spendere il debito comune fatto finora ( = Pnrr).
E non gli si può dar torto, vista la situazione.
Allora quello che probabilmente accadrà sarà prorogare l’andazzo iniziato col Covid, e cioè l’allentamento della rigida disciplina degli aiuti di Stato, per permettere ad ogni nazione di “far da sola”, se può e se vuole.
Contro questa soluzione (che, è bene ripeterlo, è di gran lunga subottimale ma ha una spiegazione facile da comprendere) in Italia si sono schierati in tanti: “non è giusto, così chi ha più spazio fiscale potrà usarlo e chi come noi non ce l’ha rimarrà fregato!!! Vergogna!”.
Chiunque legga questa invettiva – pronunciata all’unanimità da destra, sinistra, giornali, Tv, media, opinion-makers ecc – è tentato di rivolgersi alla polizia per far sì che individui al più presto il malfattore che ha sottratto nottetempo all’Italia il suo “spazio fiscale” e lo punisca come merita.
Ma purtroppo per noi non c’è nessun Arsenio Lupin che si è introdotto in casa nostra e ci ha rubato lo spazio fiscale, mettendoci nell’impossibilità (già provata nella crisi del 2008) di spendere soldi in deficit quando ce n’è veramente bisogno.
Ci abbiamo pensato da soli.
Dopo l’ingresso nell’euro nel 1997, infatti, abbiamo beneficiato del più grande “dividendo” derivante dall’aver adottato la moneta unica: una riduzione massiccia degli interessi sul debito.
Una classe politica responsabile avrebbe usato questo risparmio per risolvere almeno uno dei due fondamentali problemi dell’economia italiana: il debito pubblico e la scarsa produttività.
Nel primo caso, destinando quel risparmio alla finanza pubblica, si sarebbe potuto ricondurre il nostro enorme debito a livelli medi europei.
Nel secondo, si sarebbe potuto investire in riforme strutturali e spesa in conto capitale per far tornare il nostro tasso di crescita del Pil ..a livelli accettabili (e per questa via, tra l’altro, raggiungere anche l’altro obiettivo, cioè la riduzione del rapporto debito/Pil).
Nessuna di queste scelte è stata fatta.
Il dividendo dell’euro è stato speso per aumentare la spesa corrente, come dimostra il grafico qui sotto (fonte: Osservatorio Conti Pubblici).
Il grafico mostra la spesa primaria (=corrente + investimenti, al netto di interessi), ma in questi anni la spesa per investimenti si è radicalmente ridotta, quindi tutto l’incremento di spesa primaria è di natura corrente, soprattutto previdenziale e assistenziale.
Facendo così, cioè aumentando a dismisura la spesa corrente senza riuscire a generare crescita, non abbiamo ridotto il debito e abbiamo lasciato che la nostra crescita media annua del Pil reale scendesse ai livelli più bassi del mondo.
Chiamate la polizia, dunque.
Abbiamo trovato il colpevole.
Quello che ci ha sadicamente tolto “lo spazio fiscale” e ci impedisce quindi ora di spendere (come invece fanno Francia e Germania) per costruire la transizione verde e giocarsi la partita nel mondo globalizzato.
Infelice la terra che ha bisogno di eroi, disse Bertolt Brecht.
Ma è pure infelice quella terra che ha costantemente bisogno di incolpare altri (l’euro, la Bce, i mercati, la finanza) per colpe che sono solo, soltanto ed esclusivamente sue.