Il mio editoriale del 6 aprile 2023 su Il Resto del Carlino – Ed. Ferrara
Non ho applaudito la studentessa Alessandra De Fazio, martedì mattina all’inaugurazione dell’anno accademico. Non perché nel suo discorso non ci fossero spunti condivisibili: la richiesta di prestare maggiore attenzione ad un supporto psicologico (verso gli studenti, ma non solo) è un tema che merita più attenzione di quanto ne abbia ricevuto finora.
Ma al netto di questo, la giovane donna – in linea con la moda del momento, visto che discorsi del tutto analoghi sono pronunciati dai suoi colleghi in tutte le occasioni simili – ha detto parole durissime, che non credo sia utile etichettare come peccato di gioventù. Se non altro perché a sostenere simili concetti sembrano essere anche persone col doppio o triplo della sua età.
Non si è limitata infatti a chiedere un maggiore investimento nel diritto allo studio, sia in termini di servizi offerti che di borse di studio; oppure ad assicurarsi che alla parola meritocrazia, siano sempre associate parole e azioni concrete volte a garantire le pari opportunità di partenza. Se lo avesse fatto, sarei scattato in piedi ad applaudire. Non ha voluto neanche ragionare più approfonditamente sul concetto di meritocrazia, anche con gli accenni critici che ad esempio sono presenti nel dibattito in corso negli Stati Uniti sul tema. Se lo avesse fatto, non sarei stato d’accordo ma avrei applaudito lo stesso, perché avrebbe dimostrato capacità critica e abilità di seguire il dibattito oltre gli slogan.
Ha invece affermato che il sistema delle borse di studio è un “ricatto ai poveri”, e che il sistema di finanziamento premiale delle università è frutto “della deriva neo-liberale”.
Ma affermare che lo Stato debba fornire sostentamento economico illimitato agli studenti indipendentemente dallo sforzo individuale non significa essere dalla parte dei più deboli: significa violare la nostra Costituzione, che all’articolo 34 recita che “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Voler cancellare le parole “capaci” e “meritevoli” quasi come se fossero insulti significa concentrare tutta l’attenzione sui diritti, trascurando completamente i doveri. E come disse Aldo Moro, “la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non nascerà un nuovo senso del dovere”. Allo stesso tempo, negare che i finanziamenti alle università debbano anche basarsi sui risultati che gli atenei ottengono in termini di ricerca e didattica significa abbattere gli incentivi al miglioramento della qualità della formazione. Ma se si peggiora la qualità della formazione si ottengono cittadini peggiori, e lavoratori più poveri. Mentre chi se lo potrà permettere manderà i propri figli a studiare all’estero, alla faccia delle pari opportunità e dell’uguaglianza delle condizioni di partenza.
Qualche decennio fa ero io al posto di Alessandra, e pertanto non potrò mai pormi in maniera sprezzante verso i giovani che si avvicinano alla cosa pubblica con coraggio e sana sfrontatezza. Ma sognare un mondo in cui ci sono solo diritti e nessun dovere, e dove il denaro pubblico viene speso senza alcun riguardo ai risultati che produce assomiglia ad una terra di confine tral’Unione Sovietica e L’Altrove di Beppe Grillo. Ed entrambe hanno fatto di gran lunga più danni delle speranze che, in buona fede, possono aver fornito ai giovani come Alessandra.