La mia intervista al gruppo editoriale Il Tirreno – La Nuova Ferrara – Gazzetta di Reggio – Gazzetta di Modena Nuova – La Nuova Sardegna del 26 maggio 2023
Luigi Marattin di Italia Viva risponde sul dibattito intorno al Ponte di Messina.
Ha votato a favore del ponte sullo Stretto di Messina. È un’opera nata già vecchia o ancora utile al Paese?
«Il decreto dell’altro giorno riguardava semplicemente la qualificazione della Stretto di Messina Spa come società in-house ma non voglio certo nascondermi: il ponte serve, a determinate condizioni. La prima è che non sia una cattedrale nel deserto infrastrutturale ma serva a connettere tutta l’Italia con l’alta velocità. La seconda è che sia fatta chiarezza sulle risorse e il finanziamento, di spot elettorali ne abbiamo già visti troppi»
Ecco, crede sia fattibile finanziare l’opera visto che la stima dei costi è lievitata a 14-15 miliardi di euro e ancora non è stata disposta una singola copertura finanziaria?
«Dei fondi della programmazione comunitaria, quelli per promuovere sviluppo, crescita e coesione, ogni 7 anni ne spendiamo solo un terzo, perché non sappiamo cosa farne degli altri. Sulle infrastrutture l’unico problema che non abbiamo sono i soldi».
Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, parla di 100mila posti di lavoro, l’avvio dei cantieri entro l’estate 2024 e 6 miliardi di risparmi. Cifre credibili?
«Non ho elementi per avallare o confutare devo però confessare che non nutro particolare fiducia nel suo autore. In passato ha sparato così tante balle che non mi stupirei se tale stima non fosse accurata».
Con questa sponda al governo Meloni e il tira e molla con Azione, Iv sposa quindi una linea governista?
«Nessuna sponda al governo, sempre stati a favore di rigassificatore, ponte, Alitalia, garantismo e così via: se ora Meloni su questi punti ha cambiato idea noi siamo ben felici di appoggiarla perché noi, a differenza sua, non l’abbiamo cambiata. E nessuna rottura con Azione: i gruppi parlamentari rimangono uniti, abbiamo iniziato una fase nuova».
Rimanete critici però su politiche industriali e riforme fiscali, come la Flat tax Quali sono i principali limiti dell’approccio dell’esecutivo?
«Sulla politica industriale il governo ha annunciato l’imminente approvazione di un Fondo Sovrano, che in Paesi non esportatori di materie prime come il nostro è qualcosa a metà tra il vecchio ministero delle partecipazioni statali e l`Unione Sovietica. Noi invece proponiamo di ripristinare e rendere strutturale Industria 4.0. La Flat tax è solo una colossale truffa mediatica, così come l’autonomia differenziata: slogan che da anni il centrodestra usa per abbindolare».
Sull’alluvione in Romagna quanto ha inciso l’assenza di una struttura come Italia Sicura? E come giudica l’opposizione del centrodestra a Stefano Bonaccini come commissario?
«Sul dissesto idrogeologico ci sono miliardi stanziati non utilizzati perché su ogni intervento insistono numerosi livelli di governo o enti. L’unità di missione serve perché centralizza i processi e velocizza il coordinamento. Averla smantellata nel 2019 è uno dei peccati più gravi del governo Lega-M5s. Su Bonaccini: non c’è ragione logica per non nominarlo commissario. E sarebbe auspicabile tenere la ricostruzione in Romagna fuori dalla contesa tra ultrà che è diventato il nostro dibattito politico».
Lucia Annunziata si è dimessa dalla Rai in dissidio con il Governo. Pochi giorni fa la contestazione della ministra Roccella al Salone del Libro. È in atto una fase di colonizzazione culturale del centrodestra?
«Tutti i partiti, una volta che diventano maggioranza, cercano di colonizzare la Rai, salvo poi lamentarsene quando sono all’opposizione. L’unica soluzione è avere solo una rete pubblica senza pubblicità e affidarne la governante a un’autorità indipendente nominata dal presidente della Repubblica. In generale alcuni esponenti della destra sembrano perseguire un velleitario revanscismo culturale, “siamo stati per decenni emarginati, ora ve la facciamo vedere noi”. Un comportamento che vale quando si è adolescenti, non quando si vuole essere classe dirigente di un grande Paese».