Il mio contributo al dibattito sul salario minimo per il Foglio del 5 luglio 2023
Nonostante una incisiva riforma quella del Jobs Act, almeno nella parte sopravvissuta dopo le sentenze della Consulta, il mercato del lavoro italiano ha ancora gravi criticità.
La più grave, a mio giudizio, è la scarsa dinamica dei salari reali, che sostanzialmente in media sono fermi a trent’anni fa. Un fenomeno unico nel mondo occidentale, e probabilmente non solo.
La seconda più grave è il mismatch tra domanda e offerta. Un mercato in cui la difficoltà delle imprese a trovare personale ha raggiunto nel marzo scorso il livello record del 47,4 per cento (Fonte: Unioncamere e Anpal) e in cui eppure ci sono due milioni di persone che cercano lavoro senza riuscire a trovarlo, è un mercato che funziona molto male.
Si tratta di due gravi distorsioni su cui il dibattito di politica economica è ancora lontano dall’aver raggiunto un consenso sulle azioni da intraprendere per correggerle, tra confuse analisi su “inflazione da profitti”, temporanei e impercettibili tagli al cuneo fiscale e continui fallimentari tentativi di riformare il sistema di formazione professionale e mettere in atto politiche attive degne di questo nome.
La presenza di tanti working poors è sicuramente una delle tante criticità. Le soluzioni possono essere soprattutto due: l’introduzione di un sistema di tassazione negativa (da integrare nel sistema di welfare) o l’introduzione di un salario minimo, quest’ultimo alternativamente integrativo o sostitutivo della contrattazione collettiva nazionale.
Nel corso degli ultimi anni Italia Viva ha introdotto nel dibattito pubblico la prima opzione e si è dichiarata disponibile a ragionare sulla seconda.
Un’ipotesi di salario minimo inteso come limite minimo della retribuzione complessiva sotto la quale la contrattazione collettiva non avrebbe potuto operare era presente nel programma elettorale del Terzo Polo alle politiche di settembre, ed è stato oggetto di una delle prime proposte di legge depositate a inizio legislatura dai gruppi di Renew Europe. Tuttavia, la proposta che ci è stata presentata la scorsa settimana – contemporaneamente alla sua presentazione pubblica – conteneva una sostanziale differenza rispetto a quell’ipotesi: la famigerata cifra di 9 euro lordi l’ora, infatti non era più riferita alla retribuzione complessiva, ma soltanto al minimo tabellare.
Quello che può sembrare un inutile dettaglio è invece l’unica cosa che conta: del resto, su cosa dovrebbe basarsi il dibattito su un salario minimo se non sul livello a cui lo si fissa? 9 euro di minimo tabellare, sommato alle altre componenti della busta paga, arriva a configurare un salario minimo complessivo pari a circa il 75 per cento del salario mediano: uno dei livelli più alti nel mondo occidentale. E su vicende come questa, non vince chi offre di più: se si fissa un salario minimo troppo alto, le conseguenze sono le stesse di quando si fissa un prezzo superiore a quello di equilibrio: si crea eccesso di offerta, che sul mercato del lavoro significa solo una cosa: più disoccupazione.
In ogni caso, quando la proposta arriverà in Parlamento faremo la nostra parte per discuterla e provare a migliorarla. Per fortuna, dalle commissioni parlamentari nessuno può escluderci, come invece è stato fatto nelle settimane di preparazione di questa proposta.
Così come faremo la nostra parte nel continuare a proporre la detassazione completa della contrattazione di secondo livello: là dove meglio avviene lo scambio tra “maggiori salari” e “maggiore produttività” lo Stato rinunci ad ogni pretesa fiscale.
E così come continueremo a proporre una massiccia politica di incentivi alle fusioni tra piccole e piccolissime realtà produttive: imprese più grandi pagano mediamente salari più alti.
Ci accusano infine di non volere “l’unità tra le opposizioni”. Ma questo concetto non riveste particolare appeal ai nostri occhi. Lo avrebbe se le opposizioni unite rappresentassero una valida e credibile alternativa di governo. Ma con chi sogna la patrimoniale (Fratoianni), chi vuole ritirare il supporto all’Ucraina (Conte), chi vuole abolire il Jobs Act e bolla “merito” e “concorrenza” come due ignobili parolacce (Schlein) noi abbiamo in comune la stessa cosa che abbiamo con i populismi di Meloni e Salvini: un bel nulla.