La mia intervista ad Huffington Post dell’8 agosto 2023
Perché è critico verso la tassa sugli extraprofitti bancari?
È molto pericoloso far passare il principio che quando il governo decide che un settore sta facendo un po’ troppi utili per i suoi gusti, allora lo tassa ferocemente. Un’economia di mercato non funziona così. E poi, secondo logica simmetrica, vorrebbe forse dire che quando le banche registreranno “extra-perdite” nel loro conto economico, dovremmo sussidiarle?
Quando Mario Draghi introdusse una tassazione simile sugli extraprofitti delle compagnie energetiche voi di Italia Viva eravate a favore. Lei disse: “Si tratta di un intervento una tantum per tamponare un’emergenza”. Questo argomento non le sembra valido anche questa volta? Se ci pensiamo, entrambi gli interventi sono giustificati da fattori esterni: guerra e inflazione…
In realtà eravamo contrari a quella tassa perché disegnata molto male: colpiva il saldo delle operazioni Iva e non, come potevamo prendere in considerazione noi, i veri e propri utili. Quello era comunque un caso molto particolare: quelle aziende beneficiavano di un’esplosione di utili esclusivamente grazie ad un evento completamente esogeno, cioè l’esplosione del prezzo della materia prima sui mercati internazionali.
Qui siamo in un caso completamente diverso. Innanzitutto, l’aumento della redditività delle banche non è solo dovuto all’incremento dei tassi di interesse, ma anche alle minori rettifiche in conto economico sui crediti deteriorati. E questo sulla base del fatto che le banche negli ultimi anni hanno imparato a gestire molto meglio questi crediti. In secondo luogo, l’aumento dei tassi è parte del normale ciclo della politica monetaria, che abbassa i tassi di riferimento quando il livello dell’attività economica è troppo basso rispetto al potenziale e li alza quando l’inflazione è superiore al target. Si chiama ciclo economico, ed esiste da qualche secolo.
La sua critica basata sulla logica del “pessimo precedente” è chiara. Ma allora come si interviene sul problema: tassi d’interesse alzati sui mutui (come naturale a seguito del rialzo della Bce), ma tenuti bassi dalle stesse banche nel remunerare i correntisti?
Anche qui si fa un po’ di leggenda. Non troppa, ma se ne fa. In tutto il mondo i conti correnti non sono uno strumento di gestione del risparmio, ma uno strumento di gestione delle spese correnti di famiglie e imprese. Ecco perché non sono remunerati, se non a volte a tassi bassissimi. La remunerazione c’è per i depositi con durata prestabilita, e sta salendo (a fine marzo era in media al 2,3%). La particolarità italiana è che si tengono i soldi sui conti correnti (1368 miliardi), e non in forme di gestione della liquidità a breve termine, che hanno una remunerazione positiva.
Dopodiché, è certamente possibile che le banche – che sono imprese come tutte le altre – pratichino forme di eccessivo mark-up sui costi. Ma questo problema si risolve promuovendo quella che per tre quarti del quadro politico italiano è una pericolosa parolaccia: la concorrenza.
Le banche sono tra i principali detentori di titoli di Stato italiani, e dunque compartecipano nel sostenere la nostra spesa pubblica. L’intervento del governo può diventare un autogol? Potrebbe arrivare una “rappresaglia”?
Non vedo le banche come nemiche dello Stato, pronte a fare rappresaglie. Non le hanno fatte quando si è trattato, a metà del decennio scorso, di fare qualche sforzo per risolvere diversi problemi sistemici nel settore. Tra l’altro hanno anche subito dalla BCE due provvedimenti piuttosto duri: la modifica delle condizioni di rimborso delle TLTRO, e l’azzeramento della remunerazione delle riserve obbligatorie presso la banca centrale. Provvedimenti che secondo me erano pienamente giustificati, ma che comunque hanno danneggiato le banche. Ma si sa, queste cose non fanno notizia.