La narrazione è già partita: gli euro-deputati italiani (tra cui quelli di Renew Europe) che ieri non hanno votato a favore del nuovo Patto di Stabilità sono tutti pazzi irresponsabili e fautori della teoria del deficit libero.
Ma stanno veramente così le cose?
Per molte forze politiche (il centrodestra di governo, il M5S e parte del Pd) è così, lo hanno detto esplicitamente: non hanno votato a favore del nuovo Patto perché farebbe “tornare l’austerità”.
Ma per noi di Renew Europe le cose stanno in modo diverso. Molto diverso.
Il processo di riforma del Patto di Stabilità partì ben 5 anni fa (dopo molti anni in cui tanti di noi ne chiedevano l’avvio). Gli obiettivi dichiarati erano due: rendere le (necessarie) regole fiscali più trasparenti e più semplici.
Alla fine, il compromesso raggiunto – per opinione unanime – rende invece le regole fiscali meno trasparenti e meno semplici.
1) Perché meno trasparenti?
Perché su questo versante occorreva sostanzialmente fare solo una cosa: eliminare le regole “strutturali” o “aggiustate per il ciclo”: cioè, i vincoli basati sul “Pil potenziale”.
Il Pil potenziale è una grandezza molto importante dal punto di vista della teoria macroeconomica. Ma ha un problema enorme dal punto di vista pratico: non è osservabile né misurabile. Né ex-ante, né ex-post.
Deve essere stimato. E per stimarlo servono tecniche econometriche estremamente complesse, con le quali sono perfettamente familiari forse qualche decina di persone in tutta l’Unione Europea.
Ma queste tecniche di stima hanno un problema: una semplice variazione (nello spazio di variazione ammissibile) di qualcuno dei molti parametri necessari, provoca un cambiamento di svariati miliardi nel processo di aggiustamento fiscale che uno Stato deve fare.
Vale a dire, la metodologia non è solo poco “accountable”, ma è anche estremamente fragile, precaria, poco sicura.
Da molti anni quindi, molto di noi chiedevano una cosa molto semplice: mettiamo i vincoli sulle grandezze di politica fiscale che possiamo vedere e toccare, non su quelle che capiscono 100 persone e che comunque sono così instabili.
Come conseguenza, nel nuovo Patto di Stabilità i vincoli sulle grandezze basate sul Pil potenziale non solo non sono stati eliminati, ma sono stati raddoppiati.
2) Perché meno semplici?
Tutti ricordiamo la celebre definizione di Prodi (“è stupido perché è troppo semplice”) sul vincolo del 3% al rapporto deficit/Pil.
Giusto. Le cose troppo semplici, specialmente su argomenti complessi, spesso sono “troppo cieche”.
Ma dal 2012 le regole fiscali Ue erano diventante un dedalo troppo complesso che difficilmente poteva essere “sentito proprio” dagli Stati nazionali e dai loro elettori.
Le nuove regole approvate ieri, però, sono ancora più complesse: un insieme di strumenti diversi (traiettorie di spesa netta, deficit nominali, saldi primari strutturali) spesso in contraddizione tra loro e con una serie di eccezioni ancora più complicate e foriere di infiniti contenziosi.
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Nessuno di noi è nato ieri. La Ue è ancora – purtroppo – un insieme di governi, e non uno spazio politico federale. E quando i governi decidono tra loro, devono fare compromessi.
Questa vicenda lo dimostra. Le istituzioni “federali” (Commissione, Bce) avevano prodotto (o spinto per) regole molto migliori, più trasparenti e più semplici.
Ma quando sono entrati in campo i governi (Consiglio) hanno dovuto raggiungere un compromesso tra interessi nazionali, che però non ha raggiunto gli obiettivi che il processo di riforma si era prefissato e soprattutto non ha reso le regole migliori di prima.
Nel Parlamento Europeo – che tra tutte le sopra menzionate è l’istituzione che conta di meno – i rappresentanti italiani di Renew Europe hanno giustamente ritenuto di non votare contro, perché il compromesso raggiunto dai governi non poteva essere totalmente sconfessato.
Ma neanche a favore.
Perché il cammino verso una maggiore integrazione europea passa per maggiore disciplina fiscale per gli Stati nazionali.
Ma non certo ottenuta tramite un casino del genere.