La recensione del mio libro a cura di Sergio Talamo su il Riformista del 14 settembre 2024
Il deputato ex Iv traccia la rotta. La domanda politica esiste, i voti ci sono: un partito riformistaè d’obbligo. Le idee sono la priorità. Impuntarsi sul leader è un errore, alimenta il populismo
Un nuovo partito riformista. Autonomo, creativo, orgoglioso navigare in mare aperto e fuori dagli scogli del finto bipolarismo. We can. Si può fare. E per farlo, Luigi Marattin non sfoglia più la margherita, la rosa o altri fiori del passato. Sfoglia i petali della logica.
Se la domanda politica esiste, se ci sono lo spazio e i voti, perché rassegnarsi dopo un insuccesso alle europee dovuto solo alle divisioni? Se la speranza è collettiva, perché lasciare che il progetto venga seppellito sotto le macerie del protagonismo dei singoli? Da questa premessa nasce un libro assertivo e anomalo. Si chiama “La missione possibile. La costruzione di un partito liberal-democratico e riformatore”, lo pubblica Rubbettino in una collana dall’emblematico nome “Problemi aperti”.
È un’opera assertiva per la tesi di fondo: i partiti oggi in campo non sono la soluzione ma “il problema italiano”. Perché offrono ricette basate su spesa pubblica crescente mentre la produttività è stabilmente a zero. Perché allungano la collana dei populismi e quindi non offrono una visione della società ma solo della prossima campagna elettorale. Perché gonfiano il petto ma in realtà rappresentano sempre meno le persone, visto che dal 1992 sono 10 milioni gli elettori che si sono allontanati dalle urne.
Ed è un libro anomalo perché Marattin non vuole “aprire il dibattito” come nei cineforum degli anni ‘70. Vuole chiuderlo. Vuole risvegliare le anime dormienti del mondo che fu liberalsocialista e indurle ad agire. A sporcarsi le mani con la grande impresa. Con un approccio che si potrebbe definire leninista, l’ex colonnello di Italia Viva analizza la paralisi italiana e poi affronta il tema dei temi: che fare? O meglio, chiede a sé stesso e ai tanti orfani del riformismo: “Ma perché, esattamente, non si può fare? Chi, se non noi stessi, ci ha condannato al declino?”.
Il finto bipolarismo sembra occupare tutto lo spazio solo perché i suoi supporters tifano ad altissima voce, alimentando i partiti personali e la cultura del nemico per tenere in moto la macchina del consenso. Ma in ogni paese europeo si afferma una diversa opzione politica, in cui si riconoscono i molti cittadini stanchi delle semplificazioni che trasformano la politica in un ring dove vince chi la spara più grossa. Basta diventarne consapevoli anche in Italia: ci siamo, abbiamo una storia, abbiamo i consensi e un futuro, e se contiamo poco è perché finora ci siamo impiccati sul nome del leader. Invece la priorità è un’altra, e cioè in quale società vogliamo vivere.
Quindi, prima di entrare nel merito di una serie di proposte concrete Marattin indica i due cardini del nuovo sole na scente: la collocazione internazionale e il modello sociale. Sul primo punto, il riformista vero sa che aveva ragione il conservatore Winston Churchill: la democrazia liberale ed economica è la peggior forma di governo escluse tutte le altre. O per dirla con un socialista doc, Sandro Pertini, la peggiore democrazia è migliore della migliore dittatura. Quindi, il potente nemico che preme alle porte è il modello autocratico e illiberale russo-cinese.
Ma Pertini metteva in guardia anche dalla libertà tenuta lontana dalla giustizia sociale: “Gli uomini, per essere liberi, è necessario prima di tutto che siano liberati dall’incubo del bisogno”. Su questo punto, Marattin vola fra Amartya Sen e John Kennedy. Il primo riteneva che “il vero livello di sviluppo di un paese si misura da due cose: quanto è ampio l’insieme delle scelte che gli individui possono compiere, e quanto è ampio l’insieme degli individui che hanno la possibilità di fare queste scelte”. Il secondo, sia pure non citato espressamente, affiora con l’accento che il libro mette sulla “democrazia delle opportunità” seguita poi dalla meritocrazia. La società liberale favorisce e sostiene i talenti e il loro diritto di affermarsi verso l’orizzonte che l’uomo della nuova frontiera chiamava “aristocrazia dei risultati”.
Il sasso gettato da Luigi Marattin nello stagno politico italiano rende evidente il paradosso della rassegnazione. Abituarsi al personalismo che alimenta il populismo che alimenta il personalismo non è una buona idea. Questo giornale, consapevole di essere una navicella piccola ma libera, si impegnerà a promuovere l’idea opposta. Anzi, le idee. Un Manifesto Riformista da cui far ripartire la cultura politica che più di tutte ha reso l’Italia un paese moderno, che deve tornare a essere sicuro di sé stesso e ansioso di disegnare il suo avvenire.