la mia intervista con Emilia Patta per il Sole 24 Ore del 20 novembre 2024
«Freno e revisione della spesa pubblica, rivoluzione del mercato e della concorrenza, sì al nucleare, atlantismo senza se e senza ma. Chi a destra e a sinistra può alzare queste bandiere senza essere smentito un minuto dopo da uno dei suoi alleati? I liberaldemocratici devo stare insieme e tutti da una parte, lontano dai due poli e dagli ultrà, e pesarsi nel consenso del Paese».
Morto il Terzo polo, o meglio suicidatosi per le liti via tra i due leader fondatori, Luigi Marattin ci riprova da “deputato semplice” del Misto. Già consigliere economico di Renzi, che poi ha seguito nell’avventura di Italia viva, Marattin ha lasciato la creatura renziana dopo la decisione del leader di abbandonare la via terzopolista per tentare l’alleanza con il Pd di Elly Schlein. L’appuntamento è per il 23 e 24 novembre al Big Theatre di Milano per un evento fondativo dal titolo “Il coraggio di partire”: oltre a Orizzonti liberali di Marattin ci sono i Libdemeuropei, di cui è presidente un altro ex renziano di rilievo come Andrea Marcucci, e Nos del giovane imprenditore del web Alessandro Tommasi. Né poteva mancare Mister spending review Carlo Cottarelli.
Onorevole Marattin, dopo la rottura del Terzo polo, il fallimento delle due liste concorrenti alle europee e a cascata il quasi nullo risultato delle liste centriste alle ultime regionali non è un po’ un azzardo un partito nuovo?
No. Ricordo che il Terzo polo quello spazio politico lo aveva riempito: il 7,8% a livello nazionale al Nord era il 12, 13 o anche il 15% in alcune zone. Quindi c’è la domanda per un soggetto politico che non si riconosca nei due poli e che ha capito che è inutile mischiarsi con gli ultrà perché gli ultrà alla fine vincono sempre. È l’offerta che ha fallito.
Un partito nuovo per dire e fare cosa?
Ne ho parlato nel mio libro La Missione Possibile. La costruzione di un partito liberal-democratico e riformatore. Si tratta di dire le cose che destra e sinistra non dicono. A partire dal tema della spesa pubblica. È ora di cominciare seriamente a parlare non di quanto lo Stato spende ma di come lo Stato spende. A cominciare proprio dalla sanità, sulla quale assistiamo ogni giorno al terno all’otto: “mettici 3 miliardi, no metticene 5, no metticene 7, no 9”! Noi siamo quelli che diciamo che la spesa pubblica in Italia ha sprechi colossali. Dal 2000 ad oggi l’Italia è il Paese che ha aumentato la spesa pubblica in rapporto al Pil quattro volte in più della media europea ed è il Paese che nello stesso lasso di tempo è cresciuto quattro volte in meno: è ora che quei soldi rimangano nelle tasche dei cittadini e delle imprese invece che nelle tasche dello Stato. Questa cosa qualcuno la ha sentita dire a destra o a sinistra? Altra cosa che destra e sinistra non dicono: concorrenza. Faccio un esempio di queste ore: in commissione Attività produttive c’è un emendamento al Dl concorrenza di Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e perfino Italia viva che cancella la riforma che aveva fatto Mario Draghi riguardo alle gare per le aziende accreditate nel servizio sanitario nazionale, riforma virtuosa che cancellava il criterio della base storica per sostituirlo con quello del servizio migliore al prezzo minore in modo da far risparmiare miliardi. Quello che vale per la sanità vale naturalmente per i taxi, i balneari, le professioni, i servizi pubblici locali. Chi è in questo Paese che mette nel programma politico una necessaria rivoluzione del mercato e della concorrenza? E si potrebbe andare avanti a lungo. Ad esempio il nucleare, di cui per fortuna oggi si ricomincia a parlare: noi diciamo sì al nucleare senza se e senza ma. O l’atlantismo: quale dei due poli può fare un chiaro discorso sull’atlantismo senza se e senza ma, chi può dire “si sta inequivocabilmente dalla parte delle democrazie occidentali” senza essere corretto o smentito da uno degli alleati? Se lo fa Forza Italia esce fuori la Lega a dire “beh, però, ma no”, se lo fa Guerini del Pd escono fuori il M5s o Avs. Tutti questi concetti non si sentono a destra o sinistra o se si sentono vengono immediatamente smentiti dai rispettivi alleati. Da qui la coerenza di una scelta politica autenticamente liberaldemocratica.
L’ostacolo ad un’alleanza con il Pd è la presenza del M5s nel “campo largo”?
A raccogliere le firme contro il Jobs act nel campo largo non sono stati i 5 Stelle, è stato il Pd. A parlare di patrimoniale è questo Pd, che non è più il partito di Veltroni. Per me questo centrosinistra è indigeribile con o senza il M5s. Allo stesso modo, sia chiaro, non possiamo andare nel centrodestra di Meloni e Salvini. Che facciamo, discutiamo di concorrenza e mercato con i leghisti Borghi e Bagnai? O parliamo di giustizia con Delmastro che gioisce quando ai detenuti manca l’aria?
Con Forza Italia, sulla carta, sembrano essersi più affinità…
Il problema di Forza Italia è che sta con Fratelli d’Italia e Lega. E visto come si comportano, dal Mes dalla concorrenza, possiamo dire che sono liberali quando dormono. Difficile prevedere oggi che cosa accadrà fra tre anni, quando si voterà per le politiche. Ma se si votasse domattina la nostra sarebbe una scelta orgogliosamente autonoma, anche perché il sistema elettorale vigente è per quasi tre quarti proporzionale. Addirittura in Inghilterra, dove c’è un vero maggioritario, il Terzo polo dei Liberali alle ultime elezioni ha fatto il 12%.
Sarà Marattin il leader del nuovo partito liberaldemocratico?
No. Noi stavolta partiamo dal resto: dall’idea di società, dall’organizzazione, dalla classe dirigente. Lasciamo uno spazio aperto in cui chiunque non si riconosca nei due poli possa partecipare e poi nel 2025 eleggeremo un leader o una leader su base contendibile. Fateci provare un’altra strada, visto che quella di partire dai leader non ha funzionato.