O meglio: quasi nessuno. Un post scomodo per chi vive di slogan populisti. A destra come a sinistra. ————————————————————————-
L’altro ieri Itinerari Previdenziali ha presentato l’annuale rapporto su come è distribuito il peso dell’Irpef, basato sugli ultimi dati disponibili, quelli relativi all’anno 2020. Quando i dati originali furono pubblicati dal Mef qualche mese fa, convocai una apposita seduta della Commissione Finanze della Camera (che all’epoca presiedevo) per analizzarli e discuterli. Dopo più di un’ora, TUTTI i colleghi presenti – di ogni schieramento – concordarono sul quadro che i dati offrivano. Poi uscimmo dalla stanza, e ognuno rimise addosso i costumi di scena e tornò nel personaggio. Perché questo è la politica in Italia: al riparo dei riflettori, le persone intelligenti analizzano e vedono i fatti. Ma sotto i riflettori ognuno recita la parte che il “reality show” gli ha assegnato. Ma torniamo a noi. I dati sono sconvolgenti. Sia sull’efficacia della spesa pubblica assistenziale (che in 10 anni praticamente raddoppia, ma peggiorando i risultati) sia su chi sopporti realmente il peso delle tasse in questo Paese. Ed è su questo secondo punto che vorrei soffermarmi.I contribuenti Irpef (dipendenti, autonomi non-forfettari, ditte individuali, società di persone, pensionati) che dichiarano più di 35.000 euro l’anno (vale a dire dai 2.000 euro netti al mese in su, circa) sono il 13% del totale. Ma pagano il 60% di tutta l’Irpef italiana. E 35.000 euro è- curiosamente – proprio la soglia che la gran parte dei provvedimenti legislativi degli ultimi anni fissa come limite ultimo per ricevere aiuti o riduzioni fiscali. Come per dire, oltre quella soglia sei ricco. Quindi arrangiati. Ma solo chi è soffocato dall’ideologia può pensare che chi a stento guadagna 2 mila euro al mese possa considerarsi un Paperone a cui chiedere di svenarsi per mantenere un welfare che – ed era il primo punto accennato in precedenza – oltretutto non ottiene risultati nell’aiuto a chi ha veramente bisogno. Di questa consapevolezza però non vi è traccia nel dibattito politico. A destra come a sinistra. Due esempi, tra i tanti possibili. Lo scorso anno Cgil e Uil proclamarono il primo sciopero generale dopo 7 anni contro la mini-riforma Irpef e contro l’assegno unico (13 mld in tutto): dicevano che quei soldi dovevano andare solo ed esclusivamente “ai più poveri”, senza neanche un euro a quelli che loro consideravano i ricchi. Poco importa, ovviamente, che “i più poveri” l’Irpef non la paghino per nulla già oggi (o al massimo per 17 euro al mese, in media). E poco importa che qualche giorno fa Istat abbia certificato che quei 13 mld hanno in realtà ridotto sia povertà che disuguaglianza. E la sinistra politica non ebbe coraggio di “rompere il tetto di cristallo” e dire chiaro e tondo che Cgil e Uil stavano prendendo un gigantesco granchio. Ma neanche la destra – che di ceto medio si è riempita la bocca – ha dimostrato di saper far meglio. La legge di bilancio 2023 infatti rivaluta le pensioni bassissime un 20% più dell’inflazione (e fa bene), ma taglia in termini reali – e di 10 miliardi in tre anni – le pensioni sopra i 1500 euro netti al mese. Anche loro Paperoni, evidentemente. E anche il minimo sforzo ulteriore rispetto a Draghi di riduzione del cuneo contributivo è – ma guarda un po’ – riservato a chi dichiara meno di 20.000 euro annui. Di nuovo, giusto. Ma quello che non è giusto è che chi dichiara di più sia considerato un privilegiato che non ha diritto a vedersi alleviato l’abnorme carico fiscale e contributivo che sopporta. Per finanziare, ripetiamolo ancora una volta, una spesa assistenziale che non aiuta davvero i bisognosi e non fa crescere il paese.L’altro giorno al CNEL – al convegno in cui questi dati sono stati presentati – ho detto che in Italia un progetto politico che abbia coraggio di parlare chiaro su questo tema scomodo non esiste. Ho mentito. Lo vogliamo costruire noi.