“Basta con i partiti personali”, Marattin liquida la ditta Renzi

La mia intervista con Stefano Rizzi per Lo Spiffero del 15 agosto 2024

Il renziano eretico prosegue (insieme a Enrico Costa) nel progetto centrista del partito liberale e riformatore. Resterà in Italia Viva? “Faremo scelte conseguenti alla situazione”. Orlando in Liguria, “difficile trovare una meno liberale e riformatore di lui”

Grillo parlante e renziano eretico per chi non gli perdona l’autonomia rispetto al Verbo del senatore di Rignano, economista che le dice dritte a costo di non riuscire spesso simpatico per chi ne apprezza il ragionamento senza preamboli o sussieghi. In quello che è ancora il suo partito, Italia Viva, nel quale è stato eletto in Piemonte alla Camera c’è chi ne teme la possibile fronda al futuro congresso e chi affida a lui e a chi gli è vicino speranze che rasentano pie illusioni. Luigi Marattin, nel frattempo, lavora al partito unico liberale democratico e riformatore. A settembre uscirà il suo libro-manifesto Missione possibile.

Onorevole par di capire che non ci sta nei panni del Tom Cruise della politica, considerando la sua missione non impossible, ma cosa risponde a chi la vede come un don Chisciotte nella sua battaglia per il Terzo Polo? Insomma, vuole spiegare non solo il titolo del suo libro in uscita a settembre, ma la fattibilità del progetto?
«Da trent’anni si teorizza l’esistenza di uno spazio politico alternativo ai due schieramenti (centrodestra e centrosinistra) che definiscono lo spettro politico italiano ma i tentativi di occupare questo spazio sono sempre falliti. O perché si richiamavano ad un impossibile ritorno del centrismo democristiano o perché (ed è il caso del Terzo Polo) sono stati distrutti dall’opportunismo e dal personalismo. Ma nell’ultimo decennio è accaduto qualcosa di particolare: sfruttando l’ultima ondata di populismo (che si è abbattuta in Italia e nel mondo dopo la crisi finanziaria del 2009), i due schieramenti si sono radicalizzati. Ora a fare da motore politico dei due poli non sono più due leader centristi come Prodi e Berlusconi, ma gli estremismi di Meloni e Salvini da una parte e Conte-Schlein dall’altra. Allora è tornato d’attualità esplorare una dimensione centrale. Ma mi sono accorto che chiunque lo facesse, faticava a delineare esattamente cosa questo spazio politico fosse. Tendeva sempre a perpetuare l’eterno difetto: definire quello spazio “in negativo” anziché “in positivo”. Cioè limitandosi a dire che si era diversi da destra e sinistra, ma senza spiegare esattamente come e in cosa».

Da qui il suo libro-manifesto
«Partendo da un’analisi della società italiana spiego perché secondo il mio punto di vista sono errate  le visioni che hanno la destra e la sinistra e quale sarebbe una visione di società alternativa in grado di supportare un’azione politica liberal-democratica e riformatrice. Quali valori, quali principi? Quali politiche per cambiare il paese, e in quale direzione? E soprattutto, in cosa tutto ciò è diverso dalle attuali offerte politiche? Realizzare tutto ciò è sempre stato considerato una “missione impossibile “, soprattutto dopo le ultime elezioni europee. Lo scopo del libro invece è dimostrare che non solo è possibile, ma necessario».

Renzi la mette giù dritta: o si sta di qua o di là. O con il centrosinistra o con il centrodestra, aggiungendo una pietra alla sepoltura del terzopolismo. Sbaglia?
«Su queste cose non c’è “giusto” o “sbagliato”. Ci sono, semplicemente, opinioni politiche diverse. Chi è convinto che la società italiana possa essere adeguatamente rappresentata da questo bipolarismo esprime una posizione politica legittima. Io e tanti altri ne esprimiamo un’altra: che in Italia manchi un’offerta politica liberal-democratica in grado di dare rappresentanza a quel pezzo di Italia che non vuole essere costretta a scegliere tra Meloni-Salvini e Conte-Schlein. E il libro serve appunto a spiegare su cosa, in dettaglio, debba essere basata. Compreso un punto fondamentale: il superamento dei partiti personali (a volte persino padronali), per tornare a forme di organizzazione della politica più consoni ad un paese occidentale».

Per molti lei ormai è qualcosa di anomalo in quel che resta del cerchio renziano, come si concilia la sua permanenza in Italia Viva proprio rispetto alla linea dettata da Renzi? Aspettate, lei e chi è con lei, il congresso per una resa dei conti o che altro?
«Ho espresso chiaramente la mia posizione prima della pausa estiva, e così hanno fatto circa 300 dirigenti e amministratori di Italia Viva e circa 100 giovani delle scuole di formazione politica che abbiamo svolto in questi anni. Ora è Ferragosto, è il momento di rilassarci e goderci un po’ di meritato riposo. Alla ripresa delle attività ci sarà modo di fare le scelte conseguenti alla situazione che si è venuta a creare».

Da tempo fa coppia con l’ormai ex vicesegretario di Azione, Enrico Costa. Nel suo progetto vede la continuazione di questa accoppiata, anche se per Costa, sempre meno in sintonia con Calenda, si vocifera di un ritorno in Forza Italia?
«A settembre, a un anno esatto dall’inizio del nostro giro d’Italia, riprenderemo le iniziative comuni. Di Enrico parlo anche nel mio libro, e non a caso: credo che la rifondazione della politica passi attraverso il sovvertimento del modello per cui dentro i partiti ogni persona è necessariamente un competitor, e come tale da guardare con sospetto. Io credo che la vera svolta nei partiti avverrà quando capiremo che cooperando si raggiunge molto più di quanto si raggiunge competendo (soprattutto se la competizione è su chi è più adulante verso il Capo). Per quanto riguarda il futuro, Enrico è un politico esperto e non ha bisogno né dei miei consigli né dei miei auspici. Farà le sue scelte come ha sempre fatto, e dopo che le avrà fatta mi auguro ci ritroveremo dalla stessa parte».

Apprezzabile il suo impegno, ma il bipolarismo pare non lasciare grandi spazi. Nelle stesse elezioni regionali el Piemonte Italia Viva è andata con il centrosinistra e una buona parte di Azione ha sostenuto Alberto Cirio, la legge elettorale del resto non dà molto margine per un posizionamento autonomo.
«In Italia abbiamo adottato un modello politico-istituzionale, l’elezione diretta a turno unico o doppio del capo dell’esecutivo, per i livelli locali, e uno completamente diverso per il livello nazionale. Ne deriva che i ragionamenti politici devono necessariamente essere diversi. Sul piano nazionale la prospettiva a cui intendo lavorare è quella di una grande forza politica autonoma da destra e sinistra. Sui livelli locali la situazione è differente: soprattutto nelle regioni, dove c’è il turno unico, occorre schierarsi. Io sono per scegliere a seconda delle situazioni il candidato più vicino ad una sensibilità liberal-democratica e riformatrice. E siccome l’Italia è lunga e molto diversa, non sempre costui o costei è in tutta Italia appartenente alla destra o alla sinistra. In Basilicata e in Piemonte secondo me era di centrodestra. In Emilia-Romagna e in Umbria di centrosinistra. In Liguria, credo che il centrodestra faccia molta fatica a individuare un candidato meno liberale e meno riformatore di Andrea Orlando. Ma vedremo cosa accadrà».

A chiunque scriva un libro non si può non augurare il successo editoriale del generale Vannacci e quindi ovviamente anche a lei. Ma Vannacci ha pure avuto un grande successo alle elezioni. Senza alcun paragone, lei si rivolge a quella parte del Paese che non vede un mondo al contrario, ma neppure dedica tutto il suo tempo a fare la guerra a Vannacci come fa la sinistra? 
«Identificare un nemico e costruire una coalizione o semplicemente una narrazione contro è stato lo sport nazionale degli ultimi trent’anni. Lo ha fatto la sinistra contro Berlusconi e ora contro la Meloni, e la destra contro “i comunisti”. Contribuisce a “fare gruppo”, ma non crea un’omogeneità politico-culturale che è necessaria per costruire una proposta politica convincente e, una volta raccolto il consenso, mettere in atto quel cambiamento profondo di cui l’Italia ha bisogno per poter entrare da protagonista nel mondo globalizzato. Io mi rivolgo a quella parte di Paese che è stanca di una politica che assomiglia ad un mix tra una sfida tra curve ultra e il Grande Fratello, ovviamente mi riferisco al reality show, non al libro di Orwell».

Senta Marattin, sia sincero, quanto è possibile la missione e quando si potrà vedere qualche risultato?
«Abbiamo tre anni prima delle prossime elezioni politiche. Il tempo sufficiente per costruire una proposta politica, radicarla sui territori e farla crescere senza avere l’ossessione delle prossime urne o del sondaggio del lunedì. Formando giovani dirigenti e facendo avvicinare alla politica tutte le persone che se ne sono allontanate o la guardano da lontano con disgusto. Costruendo un partito sulla base dell’idea di società e non sulla cieca fedeltà e obbedienza ad un leader. Parlando agli italiani un linguaggio di verità e di speranza, e non trattandoli come bambini ai quali deve essere raccontata una favola della buonanotte per tenerli buoni. Mostrando a tutti che la politica non è opportunismo, non è tatticismo esasperato, non è una televendita di quart’ordine ma è ancora la più nobile e la più bella delle attività umane. Dall’autunno vedremo tutto questo, e con un sacco di persone. E vedrà che ci divertiremo».

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