Quello che più colpisce nel libro dell’onorevole professor Luigi Marattin in uscita il prossimo 13 settembre, La missione possibile, la costruzione di un partito liberal democratico, Rubettino editore, è la visione illuminista dell’autore in un paese di controriforma come il nostro. Sono quasi 210 anni dal congresso di Vienna che polverizzò l’Italia in statarelli bigotti e reazionari. Marattin ci espone in poche chiare righe una struttura di democrazia rappresentativa priva di alambicchi di sorta. Un’Assemblea nazionale di seicento eletti con un sistema proporzionale corretto, sul modello tedesco, o un doppio turno francese. Niente italiche invenzioni grazie, principio che vale anche per la forma di governo. Il pensiero illuminista è sempre europeo. Ci sarebbe anche l’opzione del maggioritario secco all’inglese, ma Marattin è scettico si possa raggiungere un sistema bipartitico nell’Italia dei mille campanili. In effetti, coloro che ci hanno provato a loro tempo, Veltroni prima, Berlusconi poi, hanno fallito miseramente.
Se poi andiamo più a fondo, Marattin sembrerebbe proprio non credere nel sistema bipolare, tanto che è stato eletto in Parlamento nel Terzo Polo. Forse si coglie una qualche nostalgia per l’occasione persa, di certo non demorde. Che alternativa di governo offrono due coalizioni che come gli opposti della dialettica platonica, divengono lo stesso? L’analisi della voragine del debito pubblico lo conferma. I grafici del libro sono impietosi. Salvo brevi tentativi di contenimento, chiunque governasse ha scelto la via del debito, o perché convinto che bisogna indebitarsi per poter crescere, o perché non può che colmare con il debito illusori tagli di tasse. Morale, l’Italia si ritrova con un debito pubblico tale da costare, come ha appena detto il governatore della Banca d’Italia, Panetta, quanto l’istruzione del paese. Soprattutto una zavorra che impedisce una crescita ulteriore, compromette investimenti esteri, ci espone alla diffidenza degli imprenditori. E meno male che il presidente del Consiglio riesce a vantarne l’aumento rispetto agli altri Stati europei, quando la montagna da scalare rende miglioramenti marginali, del tutto insignificanti. Se non si interviene sul debito radicalmente, se non si pone il debito come principale problema dell’anomalia italiana, persino Spagna e Grecia hanno iniziato una politica di riduzione significativa, si compromette la possibilità, anche questa illuministica, di realizzare la felicità individuale di ciascuno. Peggio, si rischia di perdere anche la prospettiva di una qualche vita decorosa. Marattin, ovvio, non crede nella “decrescita felice” dell’epopea grillina. Ripete per ben due volte il concetto che i soldi non sono tutto, ma che senza soldi è difficile campare, e non si può dargli torto.
Nel ripercorrere errori e svarioni compiuti dalla classe politica italiana per un ventennio, con pochissimi passi nella giusta direzione, il libro di Marattin potrebbe assumere un retrogusto amaro. Talmente aggrovigliata la situazione, che senza soluzioni praticabili, non ci dovrebbe più essere speranza. Anche sostituendo questo governo con l’attuale opposizione, si ricadrebbe subito nelle medesime impasse e contraddizioni. C’è solo un dato capace di sollevare il morale, l’astensionismo dilagante. Più della metà del paese è fuori dalla partecipazione elettorale e appare incline ad allontanarsi ulteriormente. Da qui l’incentivo a cercare una nuova proposta politica, che Marattin definisce, per l’appunto, liberal democratica, quella che in Italia non riesce proprio a profilarsi convintamente. Appena la si abbozza, ricordiamo anche solo alle elezioni europee del 1989, la mela laica, composta dagli spicchi del Pri, Pli e radicali, rotola via da se. La prateria del non voto impone ogni volta di riprovarci. Bisognerà pur sbarazzarsi delle “due tifoserie” che paralizzano e fanno regredire il paese da troppo tempo.
Questo è il momento più delicato del libro, la costruzione del soggetto partito, dopo che per trent’anni si è spiegato alla società italiana che dei partiti non c’è più bisogno. Poi appena intrapresa una strada alle scorse elezioni, quella si è interrotta, anche se magari causa certi caratteri personali. In ogni caso, la prateria si allontana e va anche considerato che geograficamente la prateria, in Italia, c’è giusto in pianura padana, poi ci sono monti, rocche, pendii, territori tutt’altro che agevoli da percorrere, per lo meno se non si mantiene un passo di marcia di una qualche intensità. Tanto che a Marattin viene il dubbio di essere un utopista. Bene, almeno non sarò l’ultimo e non è nemmeno solo, soprattutto. C’è sempre qualcuno che qualunque colpo preso, ancora insiste e per questo si considera attaccato alla realtà, che richiede cambiamento.