Missione possibile? La crisi della politica e la missione di un nuovo partito liberal-democratico

Luigi Marattin ha scritto un saggio (in libreria da venerdì) per spiegare il suo nuovo progetto politico: entro il 2027, scrive, c’è spazio per costruire un partito in grado di strutturarsi e radicarsi nell’opinione pubblica e adempiere al compito di ridare dignità alla politica (Linkiesta.it)

Dieci milioni di persone. Il totale degli abitanti della Lombardia. O la somma degli abitanti di Sicilia, Sardegna, Calabria e Basilicata. O quelli di Emilia-Romagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. È il numero di persone che dalle elezioni politiche del 1992 a quelle del 2022 ha deciso di smettere di andare a votare per il rinnovo del Parlamento, raggiungendo la cifra record di oltre sedici milioni e mezzo. Si tratta di gran lunga del primo partito italiano, con più del doppio dei voti rispetto al partito più votato (Fratelli d’Italia, con 7,3 milioni di preferenze). Alle elezioni europee del 2024, tradizionalmente meno sentite, è andata molto peggio: più di ventisei milioni di persone hanno scelto di non votare, circa venti milioni in più del partito primo classificato.

È il segno più evidente e inequivocabile della progressiva disaffezione con cui gli italiani hanno guardato alla politica nel corso degli ultimi trent’anni. Ma non è l’unico segno: a essere crollato è anche il valore che gli italiani assegnano alla politica. Nei primi quarant’anni di vita repubblicana, l’impegno politico attirava le energie migliori del Paese, ed era considerato una forma alta e nobile di servizio alla comunità. Da un po’ di tempo a questa parte, tutto questo sembra essere solo un lontano ricordo. Al di fuori di qualche sempre più ristretto circolo romano, non esiste più alcun vanto nell’affermare ad alta voce a un aperitivo: «Sapete, io faccio politica», perché si viene guardati con disprezzo o, se va bene, liquidati con un sorrisino ironico.

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Il risultato è che a essere attratte dall’attività politica non sono più le energie migliori o più vivaci, che cercano altrove le proprie soddisfazioni, ma spesso le peggiori e quelle che non hanno altro da fare nella vita. Per la prima volta nella storia repubblicana abbiamo l’impressione che la classe politica non rappresenti mediamente il Paese, ma sia considerevolmente peggiore di esso.

(…) La verità è dolorosa, ma è arrivato il momento di dircela a voce alta, per avere almeno una speranza di invertire la pericolosa rotta: lo stato della politica italiana è, visto dall’interno, persino peggiore di quello che appare da fuori. Ma questo non è dovuto alla fatalità o alla responsabilità di un unico colpevole: è il risultato di una complessa e distorta interazione tra domanda (gli elettori) e offerta (la classe politica e il sistema dei partiti) che, con l’aiuto decisivo delle alterazioni del sistema dell’informazione, ha trovato un equilibrio perverso che purtroppo sembra stabile, e che è necessario comprendere bene se si vuole avere l’ambizione di porvi rimedio prima che sia troppo tardi.

(…) Negli ultimi cinque anni vi sono state due esperienze politiche, del tutto in linea con quella dei partiti personali, che con tutti i loro difetti hanno sposato la visione liberaldemocratica: Italia Viva e Azione. Il loro sforzo congiunto alle elezioni politiche dell’autunno 2022 era stato premiato dall’elettorato, ma quell’esperienza si è sciaguratamente autodistrutta pochi mesi dopo, creando così le condizioni per l’inevitabile debacle dell’intera area alle elezioni europee della primavera 2024. La rottura del cosiddetto Terzo Polo fu sciagurata, così come lo sono tuttora le perduranti tendenze ad «andare ognuno per conto suo» proprio perché la situazione italiana è così incancrenita, l’equilibrio perverso è così stabile che occorre creare una massa critica di persone che ritengono necessario un cambiamento di stampo liberal-democratico e riformatore, sufficientemente ampia da essere nelle condizioni di innescare il processo di cambiamento.

Le prossime elezioni politiche, che in assenza di fine anticipata della legislatura si terranno nell’autunno 2027, non saranno cruciali solo perché per allora, esaurito il Pnrr e finito il periodo di grazia del nuovo Patto di Stabilità, i nodi trentennali del «Problema Italiano» torneranno a mordere in maniera conclamata, ma anche perché, per la prima volta in quindici anni, non ci sarà – o perlomeno non è presente al momento – nessun populismo che, non essendo mai stato al governo, potrà rivendicare la chance di governare sulla base della promessa del Paese di Bengodi, come è stato in sequenza per il Movimento Cinque Stelle, per la Lega e poi per Fratelli d’Italia.

A quell’appuntamento mancano tre anni. Il tempo sufficiente, forse appena sufficiente, per costruire un progetto politico in grado di strutturarsi e radicarsi, e di adempiere al compito di ridare dignità alla politica, restituire all’Italia il posto che merita nel mondo globalizzato, e agli italiani il diritto di essere nelle migliori condizioni, in questo nuovo mondo, di cercare e trovare la propria felicità.

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