Marattin: “Non servono federatori, ma un’idea di Paese”

la mia intervista con Eugenio Fatigante per Avvenire del 2 gennaio 2025.

Marattin, vede davvero un orizzonte in questo Paese per i suoi Orizzonti liberali?

C’è un pezzo di paese che non si sente rappresentato politicamente da nessuno dei due poli, che sono guidati politicamente da estremismi: il landinismo a sinistra, e il sovranismo di Meloni e Salvini a destra. E a nulla serve inventarsi “centri” che però stanno già pregiudizialmente a destra o sinistra: perché non c’è un’Italia disposta a mandare Landini a fare il ministro del Lavoro o Salvini a fare il Ministro dell’Interno solo se glielo chiede uno vestito meglio e che si autodefinisce “centro”. 

Cresce l’offerta di quanti non si riconoscono in questo bipolarismo populista. Ma che senso ha se non si è capaci di costruire una “terza via” unitaria?

Altri tentativi sono falliti perché si è messo il “chi” davanti al “cosa”. Il narcisismo e l’ egocentrismo dei pochi sono stati messi davanti al progetto e all’idea di paese, che è quella su cui andrebbero fondati i partiti. Ecco perché stavolta faremo esattamente il contrario: stiamo costruendo un’identità politica basata su un’idea di Italia e sul radicalmento territoriale. Perché un progetto politico non è tale se mancano idea di società, classe dirigente diffusa e organizzazione. E anche semanca leadership: che però stavolta per noi sarà l’ultima tappa, non la prima. Mentre tutti si affannano a partire da “federatori”, noi partiamo da che idea di Italia abbiamo.

Quali saranno le vostre prossime tappe?

A fine novembre a Milano abbiamo tenuto una Costituente di due giorni, dove hanno partecipato circa duemila persone. Non solo come Orizzonti Liberali, ma anche con tante altre associazioni(come Libdem e Nos) e attori politici che hanno lo stesso nostro obiettivo. Nel corso del 2025 diventeremo partito con un congresso fondativo. 

Insiste spesso sulla bassa crescita e bassa produttività dell’Italia. Lo dicono i dati, ma come se ne esce?

La spesa pubblica italiana è fuori controllo, alimenta sprechi e clientele: serve uno sforzo pluriennale per risparmiare due punti di Pil e destinarli integralmente a ridurre le tasse su chi produce e lavora.

Serve poi una terapia-shock su concorrenza e liberalizzazioni, per liberare le energie represse dell’economia italiana.

E infine un nuovo Patto sociale, come quello del 1993: quello fu sull’inflazione, qui ne serve uno sulla produttività.

Il Pnrr ha ancora delle chance o è un’occasione sprecata? E, nel caso, perché?

E’ arrivato il momento di dire che il Re è nudo. Il Pnrr non nacque, come avrebbe dovuto, come “lubrificante” per aggredire i nodi di una produttività che smise di crescere a inizio Anni 70. Ma è nato tirando fuori dai cassetti i vecchi progetti e spostando progetti che si sarebbero finanziati con gli altri fondi strutturali. E in più aggiungendo la tendenza italiana più grave, quella di spartirsi le risorse pubbliche senza un progetto, ma solo come remunerazione dei gruppi costituiti.

Quali altri difetti principali vede nell’economia italiana?

Tutti i difetti si spiegano con un solo dato, di cui parlo molto nel mio libro “La Missione Possibile” (edito da Rubbettino): dall’inizio della globalizzazione, 30 anni fa, siamo stati il Paese che è cresciuto di meno al mondo. Tutti i nostri guai vengono da qui. E  accade perché la produttività- motore della crescita – si è fermata a inizi anni 70. Perchè il paese non ha saputo adattarsi al mondo che cambiava.

Perché indica addirittura in Milei un “punto di riferimento”?

Perché ha avuto il coraggio di chiedere il consenso promettendo tagli di spesa pubblica e liberalizzazioni. E lo ha fatto. E sono due cose che servirebbero anche in Italia. Qui da noi necessità una rivoluzione concorrenziale in tutti i mercati. Come serve un massiccio investimenti negli asili-nido aziendali.

Economia a parte, una proposta liberale o moderata su quali altri perni deve poggiare?

Sull’idea che lo Stato deve fare poche cose, ma in maniera eccellente. E deve mettere la persona in condizione di realizzare il proprio potenziale e cercare la felicità. Per questo ci appelliamo anche ai cattolici liberali, che sanno bene che la dottrina sociale della Chiesa non si sposa ne’ con il conservatorismo ne’ con il populismo sindacal-grillino. 

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