Non ho commentato finora perché sono abituato a farlo solo dopo aver avuto, visto e analizzato le carte. Ma poiché questo momento tarda ad arrivare (per me e, da quel che capisco, anche per un bel po’ di altra gente), allora contribuisco al dibattito con la mia modestissima opinione, basata sulle informazioni disponibili al momento. Da più di un anno, a nome di Italia Viva, su questa vicenda chiedevo soprattutto due cose:
1) che non ci fosse nessuna revoca della concessione, perché i rischi dell’operazione per i cittadini superavano di gran lunga i benefici.
2) che Aspi fosse indotta ad accettare subito il nuovo metodo di regolazione tariffaria predisposto dall’Autorita’ di Regolazione dei Trasporti (delibera n.16 del 2019), in modo da eliminare il disincentivo strutturale agli investimenti in manutenzione e riequilibrare il rapporto a vantaggio dell’interesse pubblico.
Entrambi questi punti sono stati realizzati (il secondo praticamente era sostenuto in beata solitudine solo da noi), quindi da questo punto di vista l’obiettivo principale è raggiunto, e non si può che essere soddisfatti. Poi c’è tutto il resto dell’operazione. Che – benché non siano ancora disponibili ne’ carte ne’ dettagli – pare prevedere i seguenti passaggi:
1) un aumento di capitale di Aspi sottoscritto interamente da Cassa Depositi e Prestiti.
2) in aggiunta a ciò, una ulteriore vendita di quote azionarie di Aspi a investitori “graditi a Cdp”. Come risultato di questi due punti da completare – nelle intenzioni – entro settembre, la famiglia Benetton (tramite la controllata Atlantia) scenderà al 10% di Aspi.
3) nel 2021, Aspi verrà poi scissa dalla controllante Atlantia, e sarà quotata in Borsa. Le sue quote potranno quindi essere acquistate da piccoli investitori così come da grandi fondi di investimento straniero, alcuni dei quali – pare – hanno già manifestato interesse.
Provo qui ad argomentare alcune mie personali perplessità.
1) non essendo ancora noto il prezzo al quale Cdp comprerà le quote Aspi, non si può praticamente dire nulla sulla convenienza dell’operazione. Se fosse un prezzo alto rispetto alle prospettive di redditività futura della società, tutto ciò si tradurrebbe – incredibilmente – in un vantaggio patrimoniale per la famiglia Benetton.
2) Cdp – sebbene posseduta al 85% dal Ministero dell’Economia – non è formalmente nel perimetro della pubblica amministrazione, perché non manovra direttamente soldi pubblici, ma il risparmio postale degli italiani. Per questa ragione, ogni volta che Cdp viene chiamata in causa per intervenire nell’economia – la qual cosa, negli ultimi anni, accade con frequenza settimanale – la domanda da farsi è “questo investimento è coerente con la natura e le caratteristiche delle fonti di finanziamento di Cdp?”.
In un’ottica di utilizzo efficiente delle risorse, il risparmio postale – essendo per definizione “investimento paziente” (cioè di lungo o lunghissimo periodo e non alla ricerca spasmodica di ritorni elevati) – dovrebbe essere mobilizzato in impieghi che un investitore privato, per sua natura, fatica a finanziare, ma che invece sono utili e strategici per l’economia nazionale (e quindi a maggior ragione sono più tutelati sotto un controllo para-pubblico). Fondi di venture capital, start-up innovative, infrastrutture telematiche e digitali, investimenti in capitale umano, al limite “infant industries”. Per quanto ci abbia riflettuto, non sono convinto che impiegare il risparmio postale degli italiani in un settore altamente regolato come quello autostradale (e in cui i privati non mancano, dato il rendimento certo) sia la scelta che minimizza il costo-opportunità di impiego delle risorse. Se vi erano preoccupazioni sulla prevalenza dell’interesse pubblico nella gestione della rete autostradale, come abbiamo ripetuto per due anni, occorreva semplicemente cambiare il metodo di regolamentazione. Perché è da lì che si controlla veramente l’interesse pubblico.
3) per quanto mi sia sforzato, non riesco a capire cosa si intenda per “investitori graditi a Cdp” (cioè quelli a cui i Benetton devono vendere altre quote di Aspi). Non mi è chiaro come si acquisisca la patente di “investitore gradito”. Se essa significhi simpatico, fisicamente attraente, politicamente vicino o che altro. E mi è ancora meno chiaro chi distribuisca queste patenti di gradimento e in base a quali criteri.
4) la quotazione in Borsa – prevista per l’anno prossimo – apre scenari molto diversi. Aspi potrebbe benissimo diventare una public company (che non significa, come qualche esponente di governo crede, “compagnia pubblica”, bensì “società ad azionariato privato diffuso”), ma potrebbe anche diventare preda di fondi di investimento privati stranieri. Molti dei quali, come già detto, hanno già dimostrato interesse. Risulterebbe così davvero curioso aver tolto – con il metodo a cui abbiamo, allibiti, assistito – il controllo della società concessionaria di 2800 km di autostrade – dalle mani di una storica famiglia dell’imprenditoria italiana per consegnarla a fondi di investimento finanziari stranieri (che sono da sempre al centro della mitologia collettiva delle rappresentazioni demoniache). Tutto ciò mentre un ministro della Repubblica, con una dichiarazione che ho dovuto leggere 5 volte per assicurarmi di aver letto bene, dichiara che proprio perché Aspi verrà quotata in Borsa (=il mercato), sarà sottratta alle logiche di mercato.Quando si fanno operazioni così complesse, dice la saggezza popolare (e politica), occorre sempre focalizzarsi su quanto c’è di buono. E, come detto all’inizio, in questa operazione di buono ci sono sicuramente le due cose principali.
Se il resto sarà un’operazione utile o un dannoso azzardo motivato solo dall’ideologia e dagli slogan lo scopriremo, anche stavolta, solo vivendo.