Certamente – purtroppo – non dal punto di vista giudiziario, ma dal punto di vista storico intravediamo il contesto (o i principali elementi) di quasi tutte le stragi che hanno insanguinato la Repubblica.
Sappiamo con buona probabilità che dal 1969 al 1974 fu messa in atto una strategia (denominata “della tensione”) volta a provocare una voglia di protezione da parte dell’elettorato, in modo da scongiurare radicali cambiamenti elettorali che, dopo il 1968 e dopo i fallimenti dei primi esperimenti di centrosinistra, sembravano imminenti, e che avrebbero modificato lo scacchiere internazionale deciso a Yalta nel febbraio 1945 dai leader mondiali. Sappiamo che in questo contesto rientrano, tra gli altri episodi, le bombe di piazza Fontana a Milano nel dicembre 1969 e di piazza della Loggia a Brescia nel maggio 1974, nonché il tentativo di golpe del principe Junio Valerio Borghese del dicembre 1970.
Sappiamo con buona probabilità che lo stesso obiettivo – impedire il mutamento degli assetti geopolitici post-seconda guerra mondiale, che dopo le elezioni politiche del 1976 sembrava ancor più imminente – determinò il tentativo di omicidio di Enrico Berlinguer a Sofia nel 1973, e il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro nel 1978 da parte delle Brigate Rosse (erano loro due, infatti, i principali artefici del mutamento dello scenario politico che si stava per determinare in Italia).
Sappiamo con buona probabilità che il DC9 dell’Itavia, la sera del 27 giugno 1980, si trovò nel mezzo di un’azione militare internazionale che vide contrapposte forze aree Nato e libiche, e ci rimisero la vita per errore 81 persone innocenti.
Sappiamo che nell’estate del 1992 due giudici coraggiosi avevano intuito che la Prima Repubblica si basava anche su un terribile patto non detto, e si erano messi in testa (ora che l’ordine mondiale deciso a Yalta era crollato) che tale patto dovesse essere scoperchiato e mai più riproposto. E ci rimisero entrambi la vita, su un autostrada siciliana e su una via palermitana.
Non sappiamo il livello di responsabilità di tutto ciò ne’ – nella quasi totalità dei casi – gli esecutori materiali. Ma dal punto di vista storico, con ormai buona probabilità possiamo dire di intravedere il perché quelle tragedie siano avvenute.
Ma su quello che accadde a Bologna la mattina di 40 anni fa, non sappiamo praticamente nulla.
La giustizia ha condannato tre esecutori materiali (Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini), e in primo grado un quarto esecutore (Gilberto Cavallini), tutti appartenenti a organizzazioni neofasciste che nel passato erano state utilizzate come manovalanza per operazioni di ben altra natura. E si tratta – ironia della sorte – di uno dei pochi processi arrivati a sentenza definitiva tra le stragi repubblicane.
Ma – a differenza degli altri casi – non abbiamo la minima idea del perché quell’attentato fu realizzato e perché ci fu un così disperato bisogno di depistare le indagini (reato per cui furono condannati Licio Gelli e tre alti dirigenti del servizio segreto militare).
L’operazione Moro, due anni prima, aveva definitivamente archiviato la “strategia della tensione” e il partito comunista si era ritirato in disparte rifiutando ogni logica di partecipazione al governo nazionale sull’onda della “diversità comunista”; e come se non bastasse, la “guerra fredda” cominciava a spegnersi, facendo intravedere la sua fine, nove anni più tardi. Pertanto non vi era alcun bisogno di terrorizzare l’opinione pubblica per scongiurare mutamenti radicali del quadro politico.
E così, 40 anni dopo, non abbiamo la minima idea del perché quel giorno si sia versato il sangue innocente di 85 morti e 200 feriti, il più grave attentato della nostra storia.
Non sappiamo se vi fosse qualche collegamento con il DC9 che 36 giorni prima era decollato proprio da Bologna, non sappiamo se c’entrassero questioni varie di politica estera.
È l’unica strage per cui non abbiamo il benché minimo elemento non certo per sapere, ma almeno per intravedere la risposta alla domanda più importante: perché?
È questo il motivo per cui tutte le volte che passavo di fronte a quella lapide – con la fascia tricolore alle celebrazioni ufficiali o semplicemente tutte le mattine andando al lavoro – ho sempre provato un senso particolare di vergogna. Perché non penso ci sia nulla di peggio che andarsene da questo mondo per mano umana senza avere la più pallida idea, nemmeno 40 anni dopo, del perché.