La seconda ondata, i pericoli della propaganda, il cantiere della manovra e quel prestito che ci sarebbe costato 25 volte di meno rispetto ai Btp. Il colloquio col presidente renziano della commissione Finanze.
Dal rafforzamento della campagna di prevenzione fino al finanziamento dei trasporti pubblici locali. Il cedimento all’ultimo dei veti ideologici del grillismo ha dei costi. “E sulla legge di Bilancio non abbiamo fatto neanche una riunione di maggioranza”, dice il deputato di Italia Viva.
La parte di quello che parla col ditino alzato, che rivendica che “io ve lo avevo detto”, vuole evitarla, spiega. Ma neppure accetta di rinnegare una sua convinzione. Ed è per questo che Luigi Marattin, di fronte a questa stramba riproposizione di divieti più o meno cervellotici, di allarmismo per la tenuta delle terapie intensive, di file chilometriche davanti ai drive-in per i tamponi, si affida all’asciutta concretezza dei numeri. “Avremmo potuto chiedere il Pandemic Crisis Support la mattina del 15 maggio”, dice il deputato di Italia viva, presidente della commissione Finanze. Si riferisce al Mes, ovviamente. “Sì, ma preferisco indicarlo con l’acronimo Pcs, per evitare che qualcuno in buona fede possa confondersi col Mes che intervenne in Grecia”. E sia. Insomma, se questo Pcs, o Mes che dir si voglia, lo avessimo attivato a metà maggio, “ci avrebbe coperto le spese sostenute fin da febbraio, ad un costo 25 volte inferiore a quello che abbiamo sostenuto indebitandoci (a maggio il rendimento dei Btp era sopra il 2 per cento). E avremmo avuto tempo per includerlo nei nostri piani di deficit 2020, in modo da preparare per tempo il paese a questa recrudescenza autunnale, da tutti largamente prevista. Ora il paese si sarebbe risparmiato scene di persone in coda 7 ore per fare un tampone”.
Per non parlare delle risse quotidiane sui bus di Roma e non solo, dove masse di persone, giovani e vecchi, si ammassano le une sulle altre, in una ressa che sarebbe indecorosa anche in tempi ordinari. “Era primavera quando lanciammo il nostro piano per spendere subito i fondi del Mes”, ricorda Marattin. “E in quel piano includemmo anche un finanziamento massiccio sul trasporto pubblico locale, che potevamo sostenere come spesa sanitaria indiretta. E pensare che all’epoca, non essendo stato ancora trovato l’accordo al consiglio europeo, che arrivo’ solo a luglio, non c’era neanche la scusa di dire ‘preferisco il Recovery Fund’, che tra l’altro ha molte più condizionalita’ del Mes”.
Ma se davvero era tutto così evidente, perché non si adottato questo benedetto Mes? “Il No al Mes era l’ultima battaglia ideologico-identitaria dei M5S. Le altre (No all’euro, No ai vaccini, No alla Tav, No alla Tap, No alle Olimpiadi, No ai vitalizi, No al Salva banche) se l’erano già rimangiate tutte. È stato evidentemente deciso che questa non poteva essere tradita: costi quel che costi. Il problema è che i costi ora sono sotto gli occhi di tutti. Mi chiedo se ne è valsa la pena”. Eppure sui decreti “sicurezza” si è deciso di imporre la linea della discontinuità. Davvero sul Mes, che pure ha visto l’impegno del commissario Gentiloni e del presidente del Parlamento europeo Sassoli, si può rinunciare per semplice benevolenza nei confronti degli alleati? Non si legittima, così, il potere di veto delle Lezzi e dei Di Battista? “Più che altro – dice Marattin – si crea un precedente pericoloso. Si prende una decisione sulla base di un fatto che è accertato come assolutamente falso, e cioè la supposta presenza di ‘condizioni capestro’, ma solo funzionale ad una certa propaganda. Pericoloso vivere in un paese dove tutto ciò sarà stato possibile”.
Su questo anche la destra dovrebbe fare chiarezza. Salvini e Meloni gridano contro la “dittatura sanitaria” con la stessa energia con cui urlano contro la “dittatura di Bruxelles”. “I populisti sono fatti così. A loro basta sbraitare contro qualcuno. Il loro progetto politico si ferma lì”.
Ma oggi? Con gli interessi in calo sui titoli di stato, conviene ancora accedere al Mes? “Oggi il tasso sui Btp decennali è al minimo storico (0,72 per cento), e questa è innanzitutto una splendida notizia. Ma rimane ancora nove volte superiore a quello del Mes (vicinissimo allo zero), per un risparmio di circa 250 milioni all’anno. Per un quinto di quel risparmio abbiamo tagliato più di un terzo dei parlamentari. E poi c’è il tema dei tempi: i soldi del Recovery Fund (che, lo ripeto, hanno molte più condizioni) saranno disponibili tra circa un anno. Quelli del Pcs sono lì che aspettano da mesi”.
Il riacutizzarsi della pandemia impone di riconsiderare le priorità della legge di Bilancio? “In questo momento non lo può sapere nessuno. Dobbiamo prima capire che genere di misure restrittive verranno prese e che tipo di impatto avranno sulle attività economiche, già duramente provate da quanto accaduto finora; se il buon rimbalzo dell’economia italiana del terzo trimestre prosegue oppure se verrà ammazzato nella culla; se il nostro sistema sanitario avrà bisogno di ulteriori rafforzamenti o se bastano le ingenti risorse stanziate finora. In ogni caso, prima di capire se le priorità della legge di bilancio debbano cambiare o no, mi accontenterei di discutere in maggioranza – come si fa tra persone civili – quali siano attualmente queste priorità. Visto che giovedì va pubblicato il Documento Programmatico di Bilancio, martedì prossimo le norme della legge di bilancio, e ancora non abbiamo fatto neanche una riunione di maggioranza sul tema”.
Ma è metà ottobre! Possibile che ancora non sappiate nulla? E’ un problema che riguarda le relazioni tra alleati di governo, o un ritardo più generale del Mef sulla manovra da varare? “Non ne ho idea. Può darsi che le riunioni tecniche interne al Mef siano state svolte, e sinceramente me lo auguro. Ma anche in tal caso riterrei comunque piuttosto singolare che a tre giorni dal varo della manovra non c’è stata nessuna riunione politica di maggioranza”.