“Sono sempre stato favorevole a un coinvolgimento delle minoranze sulla gestione dell’emergenza e della crisi economica”. Il Presidente della Commissione Finanze della Camera Luigi Marattin, Italia Viva, giudica positivamente l’intervento di Silvio Berlusconi nel dibattito in corso sul Recovery plan ospitato ieri dal Sole 24 Ore. Ma il punto, avverte, è “che in Italia ora abbiamo due opposizioni. Salvini e Meloni che quando parlano di Europa usano termini come “ricattatori” e “usurpatori della nostra sovranità”. E Berlusconi che discute di contenuti su cui si può concordare o meno”
Presidente Marattin, l’emergenza economica impatta su di noi in modo maggiore che in altri Paesi europei anche perché veniamo da vent’anni di scarsa crescita… Il Recovery plan è un’opportunità per invertire la tendenza?
Sul Recovery Plan abbiamo finora perso sei mesi. I primi due dovevano essere dedicati a diffondere consapevolezza di cosa questo piano non è. Non è una grande legge di bilancio, da distribuire sulla base di criteri territoriali o di consenso politico. E non è un nuovo fondo strutturale europeo, da utilizzare con la stessa pessima tempistica che abbiamo sempre avuto. Se le forze politiche avessero pienamente consapevolezza di ciò che non è, avremmo potuto da tempo concentrarci su come usarlo. Nei vent’anni precedenti al Covid, il tasso di crescita dell’economia italiana è stato uno dei più bassi al mondo, e il nostro reddito pro-capite è lo stesso di metà anni novanta. Questo ha finora “semplicemente” provocato un’ondata populista di dimensioni anomale; ma dopo il Covid, con un debito pubblico attorno al 160% del Pil, rischia di provocare danni persino maggiori. Le cause della scarsa crescita italiana sono sostanzialmente due: un tasso medio di occupazione femminile 2005-2019 inferiore di 12 punti rispetto all’area euro (fonte: Eurostat); un tasso di crescita medio della produttività totale dei fattori 1995-2019 pari a zero (fonte: Istat). Se il primo nodo ha un’indicazione di policy piuttosto chiara (realizzare un vero sistema di welfare per l’infanzia su tutto il territorio nazionale), il secondo ha molte dimensioni.
Le soluzioni indicate da Berlusconi sono una giusta risposta?
Tre nodi sui quali intervenire sono stati efficacemente individuati ieri dal presidente Berlusconi: fisco, giustizia e pubblica amministrazione. Sul fisco però non serve la flat tax, che è poco più di uno slogan, ma una riforma strutturale dell’Irpef da preparare con cura e metodo e da finanziare con risorse nazionali: le commissioni finanze di Camera e Senato lunedì iniziano una profonda attività conoscitiva finalizzata a produrre, a quasi mezzo secolo dalla sua introduzione, una Irpef molto più semplice e più leggera per autonomi, dipendenti e pensionati. Quanto alla pubblica amministrazione, occorre un po’ di coraggio. Ad esempio studiare come applicare il contratto di espansione – lo strumento con cui le imprese private gestiscono i necessari processi di ricambio e riqualificazione della forza lavoro – al settore pubblico. O una riforma strutturale del diritto amministrativo. Per il resto, il Recovery Plan deve essere guidato da una sola domanda: che economia vogliamo essere dal 2030 in poi? Se miriamo ad un’economia basata sulla manifattura sostenibile, allora dobbiamo sviluppare alcune filiere industriali ben definite: automotive elettrica, la filiera dell’idrogeno, l’edilizia sostenibile e le energie rinnovabili. Se puntiamo invece su un’economia dei servizi, dobbiamo investire sull’industria della salute, sul turismo sostenibile e su una ampia strategia di liberalizzazione del terziario. E’ possibile ovviamente perseguire entrambi gli obiettivi, ma a condizione di avere ben chiaro dove si vuole andare e non disperdere troppo le risorse. Elementi comuni alle due strategie, poi, sono lo sviluppo delle reti infrastrutturali digitali e la filiera del trasporto pubblico.
Crede che il Recovery plan riuscirà a dare finalmente un buon respiro lungo alla nostra politica economica?
Il Recovery Plan rappresenta una sfida epocale, e l’ultima occasione. Non tanto per la mole di risorse da impiegare in poco tempo, ma perché richiede di archiviare i due maggiori difetti della politica italiana: la tendenza a usare le risorse pubbliche non per accompagnare riforme ma per acquistare consenso politico, e l’orizzonte temporale che – lungi da essere quello della next generation – spesso si ferma, quando va bene, alla next election. Chi è interessato ad archiviare per sempre questi difetti, parli ora o taccia per sempre.