Ci sono alcuni quotidiani o testate di “informazione” secondo cui quando c’è una norma di legge – o un emendamento a quella norma – tu politico o componente di uno staff tecnico non devi neanche azzardarti a leggerlo.
Perché c’è il rischio che tu lo capisca.
E in qual caso, c’è il rischio che tu possa valutare se quell’emendamento sia giusto o meno; sia utile o meno all’economia, o alla crescita del paese.
Se sia in linea, in poche parole, con l’interesse collettivo che nell’esercizio della tua funzione politica o tecnica devi tutelare.
Non lo devi fare, perché – con l’eccezione della Corea del Nord – nelle economie moderne l’interesse collettivo spesso si ottiene anche tramite il soddisfacimento di un interesse privato.
La costruzione di un’infrastruttura non solo fa l’interesse della comunità di riferimento, ma anche dell’impresa privata che la costruisce.
Una determinata decisione su aumento/diminuzione di una particolare tassazione non solo fa l’interesse collettivo (aumentando il gettito e disincentivando comportamenti dannosi o, nel caso opposto, stimolando la crescita) ma anche l’interesse privato di chi produce o consuma il bene o servizio la cui tassazione viene modificata.
E su questa stessa linea si possono fare migliaia di altri esempi, afferenti ad ogni singola dimensione dell’azione pubblica.
E siccome ci sarà sempre qualcuno disposto ad accusarti (o ad adombrare il sospetto) che chissà, forse sotto sotto non stavi mirando all’interesse collettivo ma solo a quello privato, allora per questi quotidiani o organi di “informazione” le soluzioni sembrano essere soltanto due:
1) non leggere mai le norme di legge o gli emendamenti: è meglio mandarli in Gazzetta Ufficiale utilizzando un più onesto sorteggio.
2) trasferirsi in Corea del Nord
Di funzionari pubblici o politici che se ne fottono dell’interesse collettivo e cercano solo di perseguire interessi privati questo paese è stato sempre pieno, e persone come me non possono che avere il massimo disprezzo per costoro.
Ma cerchiamo di non dimenticare mai una delle frasi più belle di Giovanni Falcone, che tanti di quelli che si illudono di aver seguito le sue orme non riuscirebbero mai neanche a pronunciare: “la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, ma l’anticamera del Khomeinismo”.