Questa settimana eravamo in attesa di due importanti notizie a livello europeo:
a) la riattivazione del gasdotto North Stream 1
b) il cambio radicale di politica monetaria da parte della Banca Centrale Europea.
Entrambe sono arrivate ieri: il gasdotto ha ripreso a funzionare, e la Bce ha preso due importanti decisioni:
1) a più di 10 anni dall’ultima volta, ha alzato i tassi di interesse di riferimento dell’area euro, e lo ha fatto in maniera consistente: + 0,5%.
2) ha varato un nuovo strumento di intervento nell’economia, giornalisticamente chiamato “scudo anti-spread” ma il cui nome formale è “Transmission Protection Instrument”.
Vediamole brevemente entrambe.
1) IL RIALZO DEI TASSI
Era assolutamente inevitabile: dopo tanti anni di tasso a zero o negativi, la fiammata inflazionistica di questi mesi (arrivata ormai a superare l’8%) rendeva inevitabile un rialzo dei tassi di interesse.
Quando di alzano i tassi di interesse, normalmente si riduce la domanda aggregata (tramite la riduzione di consumi e investimenti: i primi perché rende di più risparmiare, i secondi perché costa di più finanziarsi), e quindi – attraverso questo passaggio – si riduce la pressione sull’inflazione.
Ma l’inflazione che stiamo vedendo in questi mesi non è un’inflazione causata da un’eccessiva domanda aggregata (perlomeno in Europa): per la maggior parte è dovuta a uno shock di offerta, vale a dire un brusco aumento dei costi di produzione (energia) e materie prime, a loro volta probabilmente causate dal fatto che dopo la pandemia la domanda mondiale si è ripresa molto velocemente mentre l’offerta mondiale è uscita ammaccata (e forse irrimediabilmente compromessa) dai due anni di Covid.
Il forte rialzo dei tassi deciso ieri, quindi, serve soprattutto a influire sulle aspettative di famiglie e imprese. È come se la Bce stesse dicendo: “non tollererò un’inflazione così elevata e così a lungo, e ve lo faccio capire chiaramente effettuando un rialzo marcato dei tassi”.
Tassi di interesse più alti significa danneggiare chiunque tenda ad indebitarsi molto (o lo abbia già fatto con prestiti a tasso variabile): in primis lo Stato, ma anche imprese che vogliono investire (soprattutto quelle – come in Italia – che si finanziano prevalentemente tramite il canale bancario) e le famiglie che vogliono accendere un mutuo.
2) LO SCUDO ANTI-SPREAD
Da esattamente 10 anni (cioè il giorno in cui Mario Draghi pronuncio’ la frase “the Ecb will do whatever it takes to preserve the Euro”) la Banca Centrale Europea presta particolare attenzione alle condizioni a cui gli Stati membri si finanziano sui mercati.
E perché lo fa?
La spiegazione che viene data (da ultimo, con maggiore chiarezza, un paio di mesi fa da Isabel Schnabel, membro del Comitato Esecutivo Bce) è che l’area-euro è da sempre “particolare”: ha un’unica politica monetaria (decisa da un’autorita’ federale, la Bce) ma 19 politiche fiscali (decise invece da soggetti nazionali, cioè gli Stati membri).
Quindi è possibile che nonostante il livello di tasso di interesse deciso dalla Bce, i tassi a cui gli Stati emettono debito pubblico siano notevolmente diversi, semplicemente perché riflettono la politica fiscale condotta da ciascuna nazione e le sue specifiche condizioni di finanza pubblica.
Tuttavia può capitare che – per particolari turbolenze del mercato – i tassi a cui i paesi si indebitano non riflettano più le loro specifiche condizioni ma siano preda dell’instabilità finanziaria. Questo è un male anche per la Bce perché vuol dire the i suoi stimoli di politica monetaria (quando alza o abbassa i tassi ufficiali) non vengono più trasmessi in modo uniforme lungo tutta la zona euro, perché incontrano un “mare in tempesta” in cui i tassi a cui gli Stati si indebitano vanno per conto loro, senza un diretto legame con le condizioni di finanza pubblica dei paesi.
In questi 10 anni la Bce aveva già sviluppato due strumenti per combattere questo fenomeno:
1) le Outright Monetary Transactions (OMT), che furono appunto l’oggetto del famigerato “whatever it takes” di 10 anni fa: la Bce può comprare illimitatamente (ovviamente sempre sul mercato secondario, cioè dopo che sono stati messi) titoli di Stato a breve scadenza (cioè da 1 a 3 anni). Ma lo può fare solo se il paese membro sottoscrive col Mes un programma di aggiustamento economico e finanziario.
Questo è uno strumento molto forte, ma che tuttavia non è mai stato utilizzato. Nel 2012 basto’ la parola di Draghi per far definitivamente finire la tempesta degli spread 2010-2012.
2) più recentemente, la Bce ha annunciato che userà “la coda” del Quantitative Easing (terminato ufficialmente il mese scorso, dopo 7 anni) per dare sollievo ai paesi in difficoltà. Funziona così: la Bce ha in pancia un Bund tedesco che vale 100. Quando scade, la Germania deve rimborsare quei 100 euro a chiunque possegga quel titolo di stato, quindi in questo caso la Bce. Essa a questo punto prende quei 100 euro e – a parità quindi del suo bilancio – li usa per comprare un titolo di stato greco.
Questo strumento e’ abbastanza flessibile ma tuttavia probabilmente poco potente, perché portato alle estreme conseguenze comporterebbe che tutto il bilancio della Bce sia impiegato sui titoli di stato di pochissimi paesi. Quando invece il capitale della Bce è distribuito in modo molto diverso.
Da ieri, accanto a questi due strumenti (uno potentissimo ma mai usato, l’altro più debole) ce n’è un terzo: il Transmission Protection Instrument.
La Bce potrà comprare titoli di Stato – sempre solo sul mercato secondario – illimitatamente e di durata fino a dieci anni (fin qui addirittura un “bazooka” più potente delle OMT, che prevedono acquisti di titoli fino a durata solo triennale).
Anche in questo caso però ci sono condizioni. Non sono pesanti come quelle delle OMT (che includono l’ingresso in un programma di aggiustamento del Mes), ma sono comunque notevoli.
Il paese membro deve infatti:
1) rispettare le regole fiscali europee, e quindi non essere in procedura di disavanzo eccessivo
2) non avere una procedura per squilibri macroeconomici eccessivi
3) avere un debito pubblico sostenibile, secondo un’analisi fatta da Bce, Commissione Eu, Mes e Fondo Monetario Internazionale.
4) rispettare gli impegni presi con la Ue nell’ambito del Pnrr e delle Raccomandazioni che ogni anno la Commissione europea rivolge ai paesi membri.
Non è un programma di aggiustamento del Mes, ma è comunque un perimetro molto ben definito di rigore fiscale e di aderenza agli impegni europei.
Se un paese membro vuole l’attivazione dello “scudo anti-spread”, deve rispettare queste condizioni.
CONCLUSIONE
Il rialzo dei tassi era inevitabile. Speriamo serva ad abbassare le aspettative di inflazione, perché tassi più alti significa maggior costo per chiunque abbia bisogno di indebitarsi.
Dopo alcuni mesi di attesa, è arrivato lo “scudo anti-spread”: quando ci saranno turbolenze finanziare eccessive, la Bce interverrà a supporto degli stati colpiti.
Ma di sono due cose da ricordare:
1) le “turbolenze finanziare eccessive” non sono tutte le volte che lo spread aumenta. Se il ministro dell’Economia di un paese si mette a dichiarare che non intende ripagare il debito pubblico, quella non è una turbolenza: è una scemenza di qualche populista, che ci dobbiamo pagare noi.
2) non saranno le “terribili” – per qualcuno – condizionalita’ del Mes, ma vi sono comunque 4 importanti condizioni da rispettare: le finanze pubbliche devono essere a posto, così come gli impegni presi con la Ue.
Alla vigilia di una campagna elettorale difficile ma incredibilmente importante, sarebbe utile che chiunque si appresti a parlare agli italiani capisca bene cos’è successo ieri a Francoforte.